B. Vandermersch – Il reale nella lezione del 4/01/ 1974 del seminario di J. Lacan “Les non-dupes errent”

Bernard Vandermersch

Lettura e commento della lezione 4 gennaio 1974 del seminario Les non-dupes errent

Cos’è il reale ? E cosa vuol dire che finora è stato solo supposto?

Lacan ci dice: “Non è il reale   altro che supposto?”. Parla del reale   con cui ha a che fare l’analista: il sapere inconscio. Ma il problema esiste anche per le scienze quelle “toste”. Da quando Galileo ha supposto che la natura sia scritta in linguaggio matematico, un fisico – Bernard D’Espagnat – ha scritto vent’anni fa sul reale   in fisica un bel libro intitolato Il reale   velato. In effetti, non appena si avanza nella ricerca sulla struttura della materia, abbiamo a che fare solo con scritture matematiche alle quali si aggiungono delle immagini, sia del tipo di quelle prodotte dagli apparecchi registratori (illeggibili dai profani), sia del tipo “vedute d’artista”. Il reale   resta supposto dietro queste figure e queste immagini. Il reale   è sempre stato supposto, vale a dire posto sotto ciò che si vedeva o si diceva.

Prima dunque di parlare di spazio lacaniano e di ciò che diventa il reale , non appena esso non è più supposto ma esposto, come nel nodo borromeo, bisogna tornare alla questione del reale  .

Cosa vuol dire reale? Reale, realtà, non esiste nel latino classico, è latino medioevale. Deriva, come rien (“niente”) da res, “cosa”. In latino per dire reale   si può scegliere fra verus “vero” (il reale   supposto al rimbolico, sebbene Lacan dica a p. 98 che ha a che fare con l’Immaginario) e solidus “denso, intero, completo” (che corrisponde al pari di salvus “sano e salvo” al greco όλος). Sarebbe il reale supposto all’Immaginario, in particolare del corpo. Ma la nozione di reale si approccia piuttosto con una perifrasi esprimente l’identità a sé: “È ben reale, res ita se habet (“la cosa sta così”)”. “La realtà: res ipsa (“la cosa stessa”)”. “Realmente: reipsa (“essendo la cosa se stessa”)”. Ma l’identità a sé medesimo può garantirsi solo dalla differenza rispetto agli altri. In Aristotele, ci dice Lacan, il Reale  sarà supposto dal corpo particolare.

 

Il Reale   è tre. Topologia del Reale, cioè dell’Inconscio.

Lacan ci dà una risposta ancor prima che ci poniamo la domanda: il reale  è tre. E tre non sarebbe una supposizione “grazie al fatto che – in forza della teoria degli insiemi – abbiamo elaborato il nodo borromeo cardinale in quanto tale. “Il reale è tre!” e “Y’ad’l’un”, detti in questo modo come una giaculatoria, possono dare uno psicotico o un religioso. Lacan ce lo spiega chiedendoci di mollare le supposizioni implicite dei nostri ragionamenti logici (fondati sulla successione) a profitto di un approccio topologico (fondato sulla prossimità).

Senza dimenticare il punto di partenza: il nodo RS.

“Perché è tre? È qualcosa che fondo per il fatto che non c’è rapporto sessuale che possa scriversi” (p. 91).

Si può solo scrivere , con “ x e y che significano il fondamento di quegli esseri parlanti nello scegliersi del lato maschile o femminile”.

“Non c’è funzione che li colleghi… eppure là dentro si fotte!” (p. 91)

La prima supposizione da cui dobbiamo dunque smarcarci è quella che esista un soggetto maschio o femmina (cioè sessuato). È un’idea che l’esperienza analitica rende insostenibile.

L’enunciato , è senza soggetto, giacché x e y non designano dei soggetti, il soggetto supposto è nella funzione che lega fra loro x e y. Ora, tale funzione è negata.

Non esiste funzione, non è contingente, “è questione di impossibile (dunque di reale  ) e dimostrarlo non è cosa da poco!” (p. 93).

Segue una disquisizione sulle modalità, la quale lascia intendere che tale impossibile non sarebbe sempre esistito. Non soltanto per la buon’ora dell’amore, ma per ciò cui allude il paragrafo seguente (p. 92):

“Perché ciò abbia cessato di non scriversi, bisognerebbe che questo fosse possibile. E fino a un certo punto lo resta, poiché ciò che sostengo è che ha cessato di scriversi. Perché non ricomincerebbe? Non solo è possibile che si scriva f(x,y), ma è chiaro che non ce ne siamo privati.

Per dimostrare l’impossibile (di tale rapporto) bisogna dunque fissare il fondamento altrove che in queste scritture precarie, giacché dopotutto esse hanno cessato e a partire da tale momento si potrebbe credere che potrebbe riprendere: è proprio il rapporto del possibile e del contingente” (la citazione è adattata)

Ciò che manca a tali scritture del rapporto sessuale è un fondamento interno, un reale   incluso che faccia sì che non sia possibile scrivere qualsiasi cosa.

Il nodo sarebbe un sostegno affinché “qualcosa dell’impossibile si dimostri”. Il nodo non è dunque il fatto di annodare uomini e donne (malgrado la metafora), ma di annodare l’impossibile dell’annodamento ai due registri della soggettività. Il reale   del nodo è l’impossibile di RS.

E ciò inizierebbe con la messa in questione di un ordine naturale di successione e, in particolare, con la stessa idea di un successore unico così come essa è promossa dalla teoria dei numeri. In topologia non prevale l’ordine di successione, ma la nozione di prossimità.

“L’idea che fonda la topologia, dice Lacan il 15.01.1974, (…) è quella di approcciare ciò che ne è di ciò che essa supporta. È la topologia che supporta, non un soggetto suppostole. Ciò che la topologia supporta, l’idea è di approcciarlo senza immagine, di suporre alle lettere che la fondano[1] solo il reale, in quanto il reale   – ancora un termine che evoca l’addizione – aggiunge a ciò che sappiamo distinguere come l’immaginario (questa flessibilità legata al corpo) o come il simbolico (il fatto stesso di definirlo prossimità, continuità), aggiunge solo qualcosa, il reale   (senza distinzione di soggetto e oggetto) e non per il fatto che sia terzo (non si tratta di una terza dimensione che succede alla seconda), ma del fatto che tutte insieme esse facciano tre” (p. 95).[2]

“Ed è tutto ciò che hanno di reale . Sembra poco, ma non lo è!… giacché lo abbiamo avvertito da sempre che è proprio qui che il reale   è supposto. Si tratta di sloggiarlo da questa posizione di supposizione che, in fin dei conti, lo subordina a ciò che si immagina o a ciò che si simbolizza”.

Ciò facendo, Lacan de-sostantivizza la sostanza supposta. Con Cartesio avevamo la sostanza (res) exstensa sottoposta allo spazio e la sostanza (res) cogitans, fuori dello spazio. Lacan afferma al contrario che il pensiero si dispiega in uno spazio che la topologia è la sola a poter, non solo descrivere, ma anche presentare “realmente” poiché è omeomorfa – se non identica – ad esso.

 

Sloggiare il reale   dalla sua posizione di supposizione sembra di primo acchito fare problema. Il reale del soggetto riposa precisamente sul fatto che è solo supposto. Se il soggetto non è più solo supposto, ma esposto, reso patente grazie alla topologia (di Lacan), non abbiamo allora la psicosi (l’inconscio a cielo aperto) o la destituzione finalmente venuta alla luce del soggetto supposto sapere?

In effetti l’osservazione di Lacan non verte sul soggetto, ma sul reale, il quale è sempre stato supposto (sotto i termini di sostanza, di corpo, cioè sotto forme immaginarie). Avevo però fatto osservare che il termine soggetto è quasi scomparso dal seminario seguente, RSI.

Sloggiare il reale da questa posizione di supposizione sotto l’immaginario o il simbolico (è reale: resiste come questo tavolo, che – in scala atomica – è tuttavia fatto di un deserto rarefatto di atomi) non vuole dunque dire esporre il soggetto, ma dare al reale   il suo “intero” posto nella struttura.

Marc Darmon spiega (p. 358) in che cosa il nodo borromeo sloggi il reale dalla supposizione: “Un passo è compiuto. Il nodo borromeo non è un modello e Lacan insiste per distinguere un modello che suppone un reale (come per es. i modelli matematici), dal nodo borromeo che, pur essendo una scrittura, supporta un reale; così per Lacan, il nodo borromeo quale lo utilizza “fa eccezione, sebbene posto nell’immaginario, a tale supposizione” (RSI).

Nella VI lezione del seminario Les non-dupes errent (NDE), Lacan dice (p. 95): “Non è un modello perché in relazione a questo tre voi siete, non un soggetto che lo immagina o lo simbolizza, siete incastrati, siete solo coloro che patiscono di tale triplicità”. E anche, p. 94: “ Quando testimonio, dico che il nodo è ciò che mi cogita e che il mio discorso – nella misura in cui è il discorso analitico – ne testimonia, succede che, siccome ho fatto alcuni passi in più di voi, che questo nodo sia borromeo. Ma potrebbe essere completamente diverso! Anche se fosse diverso, la mia questione è di sapere in che cosa ciò abbia rapporto con quello che distingue la topologia dello spazio fondato dai greci…”.

Vi sono altre soluzioni, all’infuori del nodo borromeo, per de-supporre il reale? In ogni caso il nodo borromeo è la soluzione al problema consistente a far tenere insieme tre cerchi indipendenti due a due. Con la particolarità che uno dei cerchi è lì solo per fare tre e che è così sloggiato dalla supposizione per apparire.

Lacan ammette che simbolico e immaginario, lo spazio delle parole e quello delle cose, cioè le idee delle cose, costituiscono dei tori pieni non concatenati. Ciò che dimostra la pluralità delle lingue. Ma se S e I scivolano l’uno sull’altro, che cosa lega le parole al loro referente nella lingua? I soggetti che la parlano o l’hanno parlata? E se non si suppone più un soggetto? Occorre supporre un terzo termine.

Il nodo borromeo rende conto dell’efficacia eventuale delle pratiche di linguaggio, fra cui l’analisi, sul reale   di un soggetto. Purché tuttavia la psicanalisi non consista, come succede alle volte, nella produzione del senso, ma anche nel fatto che essa riannoda in altro modo. Diremo perciò: “L’inconscio è nodale, dunque…” o, introducendo la modalità “se l’inconscio è nodale, allora…”. In effetti Lacan dedurrà la modalità dalla scrittura, oppure no, del nodo. Notiamo per esempio che l’indipendenza a due a due delle tre dimensioni è solo contingente. La paranoia sembra testimoniare una messa in continuità di queste tre dimensioni. La psicosomatica dipende da una carenza di reale  : il simbolico passa nell’immaginario del corpo senza impossibile.

 

Topologia e triplicità

p. 94 “La topologia elabora uno spazio che parte solo dalla definizione di prossimità”. La nozione implica la triplicità. Di fatti, secondo la definizione di Bourbaki (Darmon 2004, p. 424): “ Si può dire che una parte A di un insieme E è in prossimità di un elemento a di A se, quando si sostituisce a con un elemento “approssimato (avvicinato)”, il nuovo elemento appartiene ancora ad A”. Ricordiamo che il punto di partenza della teoria topologica è l’insieme aperto: “Una parte A [di un insieme E] è un insieme aperto se A contiene la prossimità di ciascuno dei suoi punti”. In effetti solo con degli insiemi aperti siamo sicuri che un’intersezione o una riunione di insiemi costituisca un insieme della stessa natura dell’insieme di partenza.

Il grande interesse di liberarsi del concetto di misura metrica, consiste nella “malleabilità”, nella deformazione continua. Quando si tratta di inconscio strutturato come un linguaggo si coglie che il metro non ha alcuna pertinenza. Invece un bordo e un taglio possono avere un senso e dunque la nozione di prossimità può essere significante.

Resta, per assicurare l’efficacia del nodo, di supporre la consistenza (p. 94), ma non solo. Occorrono anche un buco e uno spazio per l’esistenza degli anelli indipendenti l’uno dall’altro. I rapporti fra la geometria di Lacan – che affronta un capitolo finora non scritto della topologia matematica – e lo spazio tridimensionale restano ancora da essere esaminati.


[1] M. Darmon, Essais sur la topologie lacanienne. Edition de l’ALI. Paris 2004, pp. 441-461.

[2] Il che dà: il reale   è ciò che aggiunge solo l’x di ciò che essi facciano tre con il reale. Mi sembra che qui, in questa duplicità del reale   (come anello e come 3 che fa l’1 del nodo) ci siano al tempo stesso il problema della supposizione del soggetto e l’anticipazione della soluzione che deve avvenire).

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