Marilena De Luca – “Scegli il chirurgo plastico che abbia il tuo stesso gusto estetico”

SCEGLI IL CHIRURGO PLASTICO CHE ABBIA IL TUO STESSO GUSTO ESTETICO”

Questa frase propaganda sul web la chirurgia estetica come rimedio per “ristabilire l’equilibrio perduto (val la pena sottolineare il significante perduto) tra corpo e mente”.

Pare ben esemplificativa di una cultura che tende a promettere il superamento dell’impossibile.  Quali effetti può produrre nel rapporto con l’immagine del corpo l’introduzione di tecnologie adeguate a promettere di trasformare il corpo naturale in un corpo “come dio comanda”?

Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 la cosiddetta “rivoluzione sessuale” e la rivendicazione di uno status paritario per l’uomo e per la donna è sembrata scivolare sulla ricerca dell’annullamento delle differenze anatomiche. All’idealizzazione di un immagine corporea femminile androgina, faceva da contraltare la proposta della femminilizzazione dell’immagine maschile. Il capo base dell’abbigliamento unisex, i “jeans”, spesso rendevano difficile discriminare il sesso dei componenti di una coppia vista di spalle. Non a caso la moda insisteva per entrambi i sessi sulla valorizzazione dei glutei, forse la parte corporea che meno si presta a “marcare” la differenza.

La neutralizzazione invadeva anche il linguaggio con un uso inflazionato del termine generico “persona”, che permane tuttora, anche per definire il/la partner di coppia, annullando nel discorso anche la differenza tra scelta omo o eterosessuale. Le avanguardie femministe rivendicavano una “specificità” femminile, spingendosi sul piano simbolico della valorizzazione di una cultura e storia al femminile, ma prevaleva in ambiti più vasti il più semplicistico annullamento delle differenze sul piano dell’immagine.

Oggi, per certi aspetti, permane un fenomeno simile di neutralizzazione, ma contemporaneamente sembra di assistere ad un’operazione opposta a quella di minimizzazione delle differenze anatomiche.  Anche senza tirare in ballo il ricorso alla chirurgia estetica, le donne, se non si comprimono più in bustini mozzafiato, ricorrono a “push-up” per seni e glutei e molti uomini ad attrezzi ginnici e metabolizzanti per ottenere una muscolatura ipertrofica.

Il ricorso al chirurgo meriterebbe poi un complesso discorso a parte, che potrebbe, per certi aspetti, allontanarci dal tema della sessualità, in quanto, soprattutto se pensiamo alla chirurgia bariatrica, non si tratta più solo di qualcosa che modifica l’immagine, ma di qualcosa che va ad incidere profondamente sul reale del corpo, costringendo ad incontrare nel reale il limite ad un più di godere misconosciuto nel simbolico.

Certamente comunque le conquiste tecnologiche dalla cosmetica alla chirurgia fanno sembrare a portata di mano quegli elisir di “bellezza ed eterna giovinezza” che nella letteratura erano la contropartita di patti con il diavolo. La ricerca di esse non è cosa nuova e Lacan nel seminario sull’etica ci aiuterà a cogliere da dove nasce il nostro bisogno di “bello”.

Per ora limitiamoci a qualcosa della questione del rapporto con il corpo nel mondo attuale.

 Lacan, con il rigore che gli è proprio, situa il corpo nei registri dell’immaginario, del simbolico e del reale e dedica molta attenzione alla costituzione dell’immagine del corpo come totalità correlativa alla nascita dell’Io, che ha a che fare con la questione dell’identificazione. Identificarsi è in ultima analisi riconoscersi in un significante. Ma il carattere proprio del significante consiste nella differenza: notte si definisce per differenza da giorno, uomo da donna. Lacan va oltre Saussure sottolineando che un significante si differenzia anche da se stesso, per esempio possiamo dire “sono donna, ma non la donna che credi”.

 Ciò che definisce il significante “uomo” non è un’essenza virile, dipende dal suo rapporto col significante “donna” (e viceversa). Così la questione che si pone per l’uomo è di fare-uomo, “sembiante di uomo”, cosa ben diversa dal “fare l’uomo”. Il sembiante costituisce per Lacan la dimensione di ciò che appare, che non significa falsa apparenza, pura immagine, ma anzi ci dice Lacan: “il sembiante che si dà per ciò che è, è la funzione primaria della verità”, è, se mi si concede la metafora, l’ombra della verità, che non si può che adombrare. “Fare-donna”, sembiante di donna, anche qui profondamente diverso dal “fare la donna” è certamente più complesso come ben sappiamo, dal momento che il godimento femminile è anche, ma non solo riducibile ad un godimento fallico solidale con un sembiante.

Fare-donna” ha in qualche modo a che fare con la presentificazione, credo più che con la rappresentazione che rimanda al registro immaginario, della mancanza e ben sappiamo come, universalmente nello spazio e nel tempo, tale presentificazione sia stata lungi dall’essere letta come “memento” della condizione umana e “alterità” non riducibile, ma piuttosto decifrata, nei termini di una cultura esclusivamente fallica, come inferiorità “naturale”, con tutto il seguito di oppressione e rivendicazione che la cosa comporta.

La questione che mi propongo di provare ad articolare è dunque: in un tempo di prevalenza dell’immaginario e di disponibilità di mezzi quasi illimitati per plasmare l’immagine assistiamo al rischio che il sembiante venga confuso con l’immagine? Che il fare-donna collassi sempre più sul “fare la donna” e il fare-uomo sul “fare l’uomo” (pensiamo anche al lavoro sulla collera di cui ci parla G. Pena Alfaro)? A corollario di ciò si potrebbe anche mettere in evidenza un effetto di sostanziale  adolescentizzazione degli adulti, che non sarebbe pura imitazione di ciò che i giovani fanno al corpo (piercing, tatuaggi, etc…) per affermarne l’appropriazione rispetto alla madre che se ne occupava, ma vera difficoltà a fare i conti con esso, nelle sue dimensioni di “alterità virtuale” e limite.

Marilena De Luca

Torino 05.01.2014

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