Charles Melman – Intervento sui Non dupes errent

Intervento di CHARLES MELMAN sul Seminario Les non dupent errent
Centro Culturale Francese, Piazza Campitelli, 3
ROMA – 13 maggio 2011

Innanzi tutto cominceremo con un lavoro molto difficile, perché dovrete scegliere fra tre possibilità. O farò il commento delle formule generali di Lacan che costituiscono l’ossatura di questo seminario, oppure studieremo insieme un capitolo, perché nel programma che ho ricevuto è previsto che avrei parlato della dodicesima e della tredicesima lezione oppure, ed è la terza possibilità, porrete tutte le domande che vorrete e ne discuteremo insieme. Dunque, c’è un problema molto serio: come volete che lavoriamo stasera? Cosa preferite? Marisa [Fiumanò], non si può votare, ma si può dire cosa preferite. La seconda soluzione: si prende la XII lezione, la scortichiamo insieme e quando usciamo tutti hanno capito. Mariella [Galvagno] preferisce la prima soluzione, Madame la seconda, due per la prima. Allora la prima. … Vedo che non ci mettiamo d’accordo, il che è un bene. Allora, cominciamo in ogni modo.

In primo luogo, una sorpresa. In francese si dice les noms du père e quando tagliate questa frase sonora in modo differente avete les non dupes errent .. è un effetto della lingua che è molto curioso. De Saussure aveva già fatto un lavoro su questo tema, gli anagrammi. Egli ha mostrato che in un verso di Lucrezio c’era in modo latente tutta un’altra frase rispetto a quella apparente. Qual è la differenza fra le due letture? La prima – les noms du père – è una lettura fondata sul senso, e il senso rinvia sempre ad un senso sessuale, e noi attribuiamo questo senso sessuale ad un padre nel reale, ciò che fa sì che i nomi della lingua, non appena hanno un senso, si trovano rinviati al padre nel reale, che conferisce loro questo senso sessuale. L’altra lettura, la seconda, cosa l’autorizza? Ha un senso, ma questo senso non rinvia ad un padre nel reale. È un senso che è organizzato solo dal gioco della lettera, non dal significante, ma dal gioco della lettera e il gioco della lettera non ha bisogno di autorizzazione alcuna. Il gioco della lettera si autorizza da sé. Dunque vedete che la catena significante propone sempre due letture possibili, una che è fondata sul senso, che è il senso sessuale e che rinvia ad un padre, e poi una lettura letterale che si autorizza solo da se stessa, e che dice che cosa? Dice un desiderio che il senso sessuale non autorizza, che è il desiderio singolare del soggetto, che è il desiderio organizzato dal suo fantasma, vale a dire che la seconda lettura manifesta la presenza dell’inconscio. Lasciamo questo da parte per ora e veniamo alla questione seguente. Lacan dice il Reale, il Simbolico e l’ Immaginario, in quanto sono le tre proprietà della lingua. Cosa vogliono dire il Reale, il Simbolico e l’Immaginario? Ho posto questa questione la settimana scorsa a Parigi davanti ai membri dell’Associazione. Le risposte non sono evidenti. Ho chiesto loro: ma cos’è il Simbolico? Qual è questa strana proprietà, e la lingua di che cosa è simbolo? Qualcuno mi vuole forse aiutare? La questione del simbolo c’è in Freud. Freud dice per es. che la bandiera è il simbolo della patria, e che è molto importante perché se sul campo di battaglia colui che porta la bandiera viene ucciso e la bandiera scompare, questo può provocare la dispersione della truppa, e la bandiera è solo un simbolo. Oppure egli dice: la croce è il simbolo della religione cristiana, e di conseguenza ciò che è un puro segno diventa sacro perché è un simbolo. Ma la lingua, di che cosa è simbolo?  Ancora non mi aiutate?

Mariella Galvagno: della separazione della natura dalla cultura, della castrazione.

Ciò fa molte risposte, Mariella. Grazie! No! Non è falso, ma ciò costituisce tuttavia troppe risposte. Bisogna ben separare segno e significante. Lacan dà l’esempio seguente, quando Robinson sulla sua isola scopre l’orma di un piede sulla sabbia, quello è il segno che c’è qualcuno. Questo non si discute, non c’è interpretazione. È il segno che c’è qualcuno sull’isola e che Robinson non è solo ed è per questo che Lacan dice che il segno rappresenta qualcosa per qualcuno. Ma il significante, e passiamo ad un altro registro completamente diverso, che cosa rappresenta? Quando vedete un significante, per es. su una pietra, esso rappresenta un soggetto, un soggetto umano, un soggetto. Perché non rappresenta qualcuno? Perché colui che parla è sempre enigmatico. Chi parla? Io che vi parlo stasera, sono il dott. Charles Melman, ma chi in realtà vi parla? Non è in quanto dottor Charles Melman che vi parlo, è un soggetto che vi parla, un soggetto che è implicato in tutte queste formulazioni di Lacan, implicato dal suo investimento, dai suoi interrogativi, dal suo desiderio di sapere. Colui che parla è forse sicuro della propria identità? È sicuro di essere qualcuno? Di essere perfettamente identificabile? Solo il paranoico è sicuro di essere qualcuno, ma colui che parla, il nevrotico abituale, sa che ciò che dice lo rappresenta, ma s’interroga almeno su chi è colui che arriva così nella sua bocca a parlare. Dunque il significante rappresenta un soggetto, e allora qui Lacan dice qualcosa di formidabile. Il significante può rappresentare un soggetto per qualcuno? No, esso rappresenta un soggetto per un altro significante, perché se colui che parla è rappresentato da un significante, colui al quale egli si rivolge è pure rappresentato da un significante. Sono un uomo e parlo ad una donna, ma “uomo”, che mi rappresenta, è un significante, “donna”, a cui mi rivolgo, è un significante, e questo è già un modo di comprendere perché Lacan dice che non c’è rapporto sessuale. Perché il rapporto qui è di un significante con un altro significante, e che il significante uomo non dà l’essenza di ciò che sarebbe un uomo, e il significante donna non dà alla mia interlocutrice l’essenza di ciò che sarebbe la femminilità. Dunque il significante è simbolico in quanto esso è il simbolo di ciò che fra due significanti costituisce la faglia nella quale c’è X che parla. Il significante è simbolico di questa pura faglia, che dà ad intendere. È ciò che ci interessa nella lingua, ciò che vi è da ascoltare. Se la lingua fosse semplicemente positiva, un bicchiere è un bicchiere, una bottiglia è una bottiglia, un microfono è un microfono, non avremmo alcun problema, avremmo un rapporto diretto con l’oggetto, in quanto il significante lo presentifica. Ma l’impiego della lingua è completamente differente da questa positivizzazione, in maniera tale che finalmente io non so mai perfettamente ciò che c’è da intendere, dunque c’è sempre qualcosa nella lingua che non arriva a farsi intendere.

Ieri sera eravamo alla biblioteca ebraica. I talmudisti da più di 25 secoli – i primi testi devono datare dall’VIII° secolo a. C. – i talmudisti non hanno ancora trovato l’ultima parola, e ci sono tomi su tomi che si accumulano per sapere cosa vuol dire. Allora, il rabbino di qui dice che vuol dire questo, il rabbino di là dice che vuol dire quest’altro, un terzo rabbino .. ecc. È come fra gli analisti, ognuno ha il suo modo di leggere e non arrivano a mettersi d’accordo su quella che sarebbe la buona lettura. Non ce n’è una che vale per tutti. È che non si arriva mai ad avere l’ultima parola. È la stessa cosa, Freud lo aveva detto, per quello che egli chiama l’ombelico del sogno. Decifrate un sogno, poi arrivate ad un limite, il senso finale del sogno non lo sapete. Conoscete il primo sogno dell’Interpretazione dei sogni, il sogno dell’iniezione a Irma. Freud vuole sapere cosa c’è nella bocca di una donna. Cosa vuole? Cosa vuole una donna? Vorremmo l’ultima parola, non è possibile, c’è un velo nel fondo della gola di Irma, un velo bianco, in modo tale che non sappiamo mai cosa vuole una donna e per un uomo è la stessa cosa. Ciò che c’è dunque di comune a tutte le letture è che la lingua è simbolica di ciò che in ultima analisi resta enigmatico, ed è questo il Reale. La lingua è sempre simbolica, non, come per Freud, di una bandiera, cioè di una rappresentazione della patria o della croce, rappresentazione di un dio, ma la lingua è simbolica di un reale nel quale non c’è niente. Niente, tranne ciò che ci dà la seconda lettura del significante, cioè un ordine costituito non più dal significante ma dalla lettera, e che è l’ultima risposta possibile a ciò che il soggetto desidera, cioè l’oggetto piccolo a. Dunque vedete come già diventa operante il simbolico. Già è presente con l’oracolo di Delfi: “Non mostra, non significa, ma dà ad intendere”. Dà ad  intendere che non c’è mai un’ultima parola, ma ciò che c’è è l’ultima lettera, quella che organizza il fantasma del soggetto e dunque il suo desiderio. Ma questa lettera nel migliore dei casi è presentificata nel mondo solo da un’immagine, ed abbiamo qui la terza dimensione, quella dell’Immaginario. Allora, mi direte, tutto questo fa parte delle costruzioni di Lacan. Ma, l’oggetto piccolo a, causa del desiderio, può fare irruzione sulla scena del mondo. È per es. l’oggetto del perverso, in qualche modo è il neo-oggetto del tossicomane, ma è anche oggi nell’arte l’oggetto trash. Sapete che oggi ciò che caratterizza l’arte è l’introduzione diretta sulla scena del mondo non della rappresentazione dell’oggetto, ma dell’oggetto stesso, l’oggetto che non ci dovrebbe essere, che dovrebbe essere evacuato. Dunque vedete come queste tre dimensioni sono effettivamente le conseguenze del nostro rapporto con il linguaggio, e perché Lacan scrive dit-mansion. Perché tutte e tre queste categorie sono gli effetti di un dire, e sono dunque dei detti. Sono effetti di un dire, nel senso che vengono da un soggetto nel reale, che ha nominato queste tre categorie RSI, e che sono dunque ciò che è stato detto da un soggetto a partire da un reale, a partire da un dire. Quando studiate questo testo molto difficile che ho avuto l’onore di pubblicare sulla rivista Scilicet, questo testo che si chiama LÉtourdit .. Quando Lacan mi ha dato questo testo per pubblicarlo, gli ho detto: è impossibile, non so come ci possa essere qualcuno che possa capire qualcosa di questo testo, tanto più che c’è una descrizione topologica molto ardua senza alcun disegno, perché egli voleva dimostrare che l’immaginario, cioè la rappresentazione, non era una dimensione necessaria. E comincia il suo articolo L’étourdit scrivendo: Qu’on dise reste oublié derrière ce que se dit dans ce que s’entend. Razza di frase, ah! Ma qua dentro ci sono tutte e tre le dimensioni: qu’on dise è la dimensione del reale, questa dimensione del reale resta dimenticata dietro ciò che si dice in ciò che s’intende. Ciò che s’intende è la dimensione dell’immaginario e ciò che si dice è la dimensione del simbolico. Cosa si dice? Ciò che si dice a partire dal reale, a partire da questa locuzione emessa da un X, è la lamentela di un soggetto in conseguenza del difetto di rapporto sessuale, vale a dire che il significante non fa che rappresentarlo presso un altro significante. Questa dimensione del reale spiega due cose: innanzi tutto che la lettura di Lacan è sempre difficile, perché egli dà ad intendere, non cerca di positivizzare ciò che dice. Io, che vi parlo oggi, sto positivizzando, perché bisogna spiegare, ma lui, Lacan, egli cerca di dare a intendere. Ciò che c’insegna non è l’ordine del mondo, ma ciò che c’insegna è l’ordine psichico proprio di un soggetto che esprime la sua lamentela per il fatto di avere sempre a che fare solo col significante. E siccome ha a che fare solo col significante, può rifiutare di essere dupe. Non vuole più essere dupe. E dunque evidentemente egli reclama, reclama che egli stesso sia conforme all’ideale e che il suo partner sia conforme all’oggetto sperato e atteso. Ne ha abbastanza di essere lui stesso un’immagine, un io, ne ha abbastanza che la sua partner o il suo partner sia lei stessa o lui stesso un’immagine. Ne ha abbastanza di essere dupe. Vuole la verità. Ma ciò che mostra la psicoanalisi è che non c’è altra verità all’infuori di questa lamentela, di questa faglia di cui il linguaggio è il simbolo e che è la sola verità che posso cogliere. Ed è a questo proposito che si produce un curioso fraintendimento, cioè: io non voglio essere dupe ma, nell’attesa, il desiderio può essere alimentato ed esistere  solo per il fatto stesso di essere messo in scacco e di non realizzarsi. Se il mio fantasma si realizza, se il mio desiderio viene alla fine completamente soddisfatto, si possono produrre eventi soggettivi molto strani. C’è una manifestazione, per esempio, che è molto frequente e molto banale, il baby-blues, che è la depressione post-partum nelle madri, nei padri pure d’altronde. Perché questa depressione post-partum nelle madri? Questa giovane donna ha desiderato così tanto diventare madre, ha pure creduto che non le sarebbe mai successo, che non ne aveva il diritto, che non era fertile, che sarebbe stato impossibile. Ed ecco, il bambino è qui. E invece della gioia, la depressione, come se a partire da questo momento il suo desiderio fosse bloccato, colmato, scomparso. C’è l’oggetto che ha tanto sperato, e ora che c’è questo bambino, il desiderio non la sostiene più. Ma vi farò un altro esempio, altrettanto banale. Lo studente che non riesce a dare il suo ultimo esame, non è un fatto eccezionale. Si trascina, si trascina, è sempre rinviato, a partire da questa idea che non si deve andare fino in fondo, non si deve concludere, cioè l’idea che ci sia sempre qualcosa che vada sacrificata, a cui bisogna rinunciare, e in particolare la piena riuscita di se stessi, è come se questa piena riuscita di sé fosse incestuosa. E dunque l’idea che ci sia sempre qualcosa a cui si deve rinunciare, che si debba sacrificare. Dunque non raggiungere mai fino in fondo il proprio godimento. Ma è evidente che è questa malattia del godimento a causare tutte le altre insoddisfazioni e tutte le altre malattie. Permettetemi l’osservazione, ma i primi analisti lo sapevano molto bene, cioè che si tratta eminentemente del rapporto col corpo. Dunque il nostro stile di vita è organizzato sull’idea di un sacrificio permanente che va alimentato. Nell’antichità l’idea del sacrificio è presente in tutte le culture. In quel mondo così civilizzato che era Atene si prendevano ogni anno i dodici più bei giovani e li si sacrificava. Ed è pure a causa del ritorno della nave che aveva fatto questo sacrificio che Socrate ha bevuto la cicuta. Con la nostra religione il sacrificio è divenuto simbolico, sebbene .. il sacrificio richiesto di una parte del godimento o di tutto il godimento – perché se voglio farmi il servitore esemplare di Dio gli devo sacrificare tutto il mio godimento. Dunque c’è questo sacrificio che è proprio della nostra cultura e che comporta l’attesa che ciascuno sacrifichi una parte del suo godimento, ciò che è causa del disagio della civiltà e che è causa del disagio nella vita privata, perché la stessa coppia si organizza sull’idea di questo sacrificio da dovere alimentare, pur attribuendo la causa di questo deficit al partner. Allora, il lavoro di Lacan consiste nel fare in modo che ciò che è vissuto come sacrificio, cioè la parte lasciata al reale, cessi di sostenere il nostro mondo di rappresentazioni, delle nostre  duperies, per essere infine nominata e dunque apparire nel mondo delle nostre percezioni. C’è una grande differenza tra il fatto che questa parte è separata dal mondo delle nostre percezioni ma lo sostiene, ed invece il fatto di fare entrare ciò che ne è di tale parte nel campo della percezione. Sapete che, per fare un’equivalenza nel registro della matematica, i filosofi e i matematici hanno sempre parlato dell’infinito come ciò che non può essere scritto, rappresentato, sia che si tratti dell’infinito che essi chiamano attuale, sia che si tratti dell’infinito potenziale. L’infinito attuale sarà per es. la presenza divina, che è ritirata dal mondo. A rigore posso dare delle rappresentazioni di Dio, ma nella religione ebraica non ho nemmeno diritto alla rappresentazione né di Dio né dell’uomo, perché sembra che Dio abbia fatto l’uomo a sua immagine. Dunque non ho il diritto di rappresentare ciò che per noi può funzionare, al fuori della matematica, come infinito attuale.  Ma, l’infinito potenziale nella matematica è che, se io scrivo la serie dei numeri naturali 1, 2, 3, 4 … non arriverò mai alla fine. Fino a  quando un matematico che si chiama Cantor ha deciso: “Io lo scrivo”. E lo scrive con quale lettera? Lo scrive con א, l’aleph, cioè la lettera che gli ebrei non hanno diritto di mettere all’inizio del loro testo sacro perché questa lettera si ritiene che incarni Dio. Cantor era molto inquieto quando fece questo, scrisse al papa per sapere se aveva il diritto di farlo, non so cosa gli rispose il papa. In ogni caso si ammalò, dunque vedete che si è qui in ambiti molto delicati. Perché ve lo dico? Ve lo dico con questi esempi, per ricordarvi quanto siamo dentro la nostra clinica. Spesso si dice “c’è la teoria e c’è la pratica”, ma ciò che Lacan cerca di dimostrare è che la sua teoria è la clinica stessa, per es. la scrittura del fantasma non è né il modello né la rappresentazione del fantasma, è l’organizzazione stessa del fantasma. Il nodo borromeo – è su questo che Lacan ha passato gli ultimi anni della sua vita – è di mostrare che queste tre dimensioni  del reale, del simbolico e dell’immaginario possono tenere insieme senza avere bisogno di far leva sulla presenza nel reale di questo almeno uno, chiamiamolo come vogliamo, chiamiamolo Dio, Padre, e che bisogna innanzi tutto mantenere nel suo mistero perché il desiderio sussista e non scompaia, perché è vero che con la presenza nel reale di questo ‘almeno uno’ il desiderio è in qualche modo garantito, mentre non era così nella vita degli antichi. Se leggete i testi antichi, vedrete che essi temevano che dopo l’inverno la primavera non tornasse, c’era sempre un’angoscia, e da qui le feste della primavera, che erano spesso d’altronde delle feste erotiche. Ma la garanzia ottenuta della permanenza del desiderio con la permanenza di questo meno uno nel reale si paga con un prezzo. È proprio la rinuncia ad una parte del godimento, nel tentativo di preservare questa parte di mistero, che mette al riparo l’istanza fallica. Ma è qui il fraintendimento, perché la proprietà stessa del linguaggio è di mantenere questa dimensione del simbolico senza fare appello ad un qualche sacrificio di godimento. Ed è per questo che Lacan suppone che il fatto di iscrivere queste tre dimensioni nel campo delle rappresentazioni,  mostrando che possono tenere insieme senza avere bisogno di riferirsi ad una istanza quarta, può portare rimedio a ciò che costituisce il sintomo dell’animale umano. Gli animali sono molto soddisfatti della loro sorte. Non si è mai visto un animale insoddisfatto, a parte quelli domestici. Ma è per questo che gli animali ci affascinano ed è pure per questo che si studiano in laboratorio, per cercare di trovare gli stessi modi di soddisfacimento che sono loro propri. Avete sentito parlare sicuramente della scuola comportamentalista, è la sua tesi, tesi che dice che non c’è differenza essenziale fra l’animale e l’umano, ma non abbiamo mai visto un animale tormentato dal complesso edipico, e non si sono mai viste d’altronde delle manifestazioni dell’inconscio in un animale. Sono tranquilli, ci guardano con curiosità, si dicono “quanto sono complicati!”. Dunque nel nodo borromeo che studiate c’è questa posta in gioco, che è il tentativo di rispondere a ciò a cui Freud non ha potuto dare una risposta migliore, perché per Freud c’è un godimento che è quello buono, il godimento fallico, nella misura in cui, direi, è quello della coppia. Freud aveva delle idee liberali. Quando tratta Dora, per es., non vede alcun inconveniente a che diventi l’amante del signor K., lo trova stupido, un segno della sua nevrosi se non vuole diventare l’amante di un uomo così elegante, intelligente e così a posto, ma ciò che Freud rifiuta di vedere è che anche nel soddisfacimento della coppia c’è sempre questa presenza di un terzo o di una terza, come se appunto ci fosse nell’organizzazione della coppia umana una insoddisfazione organizzatrice. Certo, al prezzo del senso di colpa di questo essere umano.

La grande innovazione del nodo borromeo è che abbiamo a che fare con uno spazio di rappresentazione che non è più a due dimensioni. In questo spazio a due dimensioni siamo sempre rappresentati come delle silhouettes. Con la scrittura del nodo borromeo – in cui bisogna distinguere il tratto che passa sopra, il tratto che passa sotto, in quanto questo passaggio sopra o sotto è quello che distingue, che modifica la figura – si passa dal nostro spazio a due dimensioni ad uno spazio a tre dimensioni; [il nodo borromeo] introduce cioè questa dimensione del reale che è esclusa dallo spazio a due dimensioni. Essa è presente nello spazio a due dimensioni solo sotto la forma della lama del coltello che squarcia lo schermo. Ebbene, Lacan introduce questa terza dimensione nello spazio una volta a due dimensioni. La dimensione del reale cessa di essere enigmatica, misteriosa, bisognosa di essere alimentata da un sacrificio permanente, per porsi anch’essa al centro della scena. E la nostra difficoltà ad affrontare questo nodo borromeo è che tutto il nostro modo di pensare è organizzato dallo spazio cartesiano, cioè da uno spazio piano che è diviso da due linee, in cui tutti gli elementi presenti trovano la loro localizzazione in funzione dell’asse delle ascisse e delle ordinate. Questa rappresentazione dello spazio guida il nostro pensiero e guida la rappresentazione di noi stessi. Dirò qualche cosa di bizzarro e terminerò .. La rappresentazione che abbiamo di noi stessi è organizzata da una croce, dalla sinistra e dalla destra evidentemente, prodotte da un tratto verticale, e sapete come le due parti non hanno affatto le stesse funzioni, c’è una parte dominante e una parte che deve seguire. Questo pure non lo vedrete mai nell’animale. Ho avuto pure una paziente .. aveva una forma straordinaria, perché c’era una parte che aveva una forma maschile e l’altra femminile e quando per es. faceva uno sforzo fisico si ricopriva di sudore per la metà del corpo e l’altra metà restava assolutamente asciutta. Forte, eh! Voi tutti conoscete i  problemi clinici della lateralità, ma non è il tema di oggi. Ma è evidente che c’è pure una distinzione fra l’alto e il basso. Quando Freud fa questi primi studi sull’isteria .. vedrete lo schema di Freud riprodotto negli Studi sull’isteria, ci sono due linee, una verticale e una orizzontale. Egli dice che nell’isteria ciò che è rimosso passa in basso nel corpo, mentre nella nevrosi ossessiva ciò che è rimosso resta in alto, nella testa. D’altra parte noi pensiamo tutto con alto, basso, a destra, a sinistra, davanti, dietro. E quando qualcuno come Lacan non sottostà alle esigenze di questa rappresentazione immaginaria, si dice “non ci capiamo niente”. Dunque, come vedete, questa storia di nodo borromeo è una storia .. il problema non è di aderirvi o di non aderirvi, il problema è che si tratta di una ricerca di un’originalità e di un’importanza considerevoli, e Lacan non cerca mai di convincere, egli dice: quelli che lo vogliono vi si interessino. Noterete in questo nodo due cose essenziali, cioè che l’oggetto piccolo a, causa del desiderio, non è più prodotto da un taglio, da una caduta, metaforicamente si dice spesso “la caduta dell’oggetto a”. Nel nodo borromeo non c’è più caduta dell’oggetto piccolo a, nel nodo borromeo il taglio è puramente patologico, ma l’oggetto piccolo a si isola per effetto di una stretta, di un incastro. Osserverete anche che questo nodo borromeo appartiene potenzialmente sia ad un uomo che ad una donna. Nella lezione XIII egli s’impegna in una dimostrazione molto complicata, molto arbitraria, per mostrare come questo nodo possa supportare le formule della sessuazione, ma vedrete che non è evidente. Non è affatto evidente. È una dimostrazione molto complessa e che esigerebbe molte ore di discussione, ci sono molte cose, ma c’è una cosa che è formidabile, che non c’è più alcuna istanza che fondi il discorso del Maître, cioè la stessa nozione di discorso diventa problematica, e vi immaginate un mondo dove non ci sarebbe più un’istanza su cui si possa fondare un discorso del Maître! Immaginate le conseguenza sociali e sulla vita privata! E poi vedrete ancora, studiando questo nodo borromeo, che c’è un incastro molto inatteso, che è l’incastro del senso, indipendente dal godimento fallico, il che significa che col nodo borromeo il senso cessa di essere esclusivamente fallico. Ma è la dimensione del carattere enigmatico del senso che occupa il centro della scena, cioè la dimensione del senso è distinta sia dall’istanza fallica che dall’istanza Altra. Perché Lacan è arrivato a questa storia? Perché egli ha potuto verificare che nella misura in cui il discorso psicoanalitico arrivava a completare gli altri discorsi, cioè il discorso del maître, il discorso dell’isterica, il discorso universitario, non c’era ragione alcuna perché si cambiasse; che il discorso psicoanalitico era prodotto da questi altri discorsi, che arrivava a completarli, ma che in nessun modo arrivava a disturbarli. La psicoanalisi non ha mai scompigliato proprio niente. E dunque, a suo modo, egli cerca di far sì che la scoperta freudiana, che non è destinata a sopravvivere a lungo – sapete che in molti paesi tende ad occupare un posto sempre più piccolo nel campo culturale, se essa continua a sopravvivere in Francia e nei paesi latini è in un modo o nell’altro grazie a Lacan. Non vale la pena che vi racconti cosa sta succedendo negli Stati Uniti. E dunque, alla fine della sua vita, Lacan si è impegnato in un ultimo sforzo che è difficile per noi e tuttavia ….L’ultimo week-end ci sono state a Parigi delle giornate sulla topologia. In genere c’è una grande affluenza alle nostre giornate, qui ce n’è stata di meno, ma le persone sono uscite da lì – io ero sicuro che sarebbero stati demoralizzati – sono usciti da lì rapiti e appassionati. È stata una grande sorpresa, ho raramente visto delle giornate così appassionate e un uditorio così preso come da queste giornate, su dei temi apparentemente così astratti, e il desiderio di andare oltre, di chiedere di più. È anche un segno di qualcosa, è un sintomo, non è un cattivo sintomo, ma è un sintomo e penso che Lacan sarebbe stato molto sorpreso. Naturalmente ci vogliono trent’anni prima che uno cominci, ci vuole un’ora e mezza prima che uno carburi, ma .. l’uditorio sentiva veramente che si cominciava ad entrare in ciò che bisogna proprio chiamare “il nuovo mondo” e come sapete  io ho cominciato a scrivere su quella che chiamo “la nuova economia psichica”. Mi è stato detto “non è lacaniano!”. Tuttavia [quello che dico] si appoggia interamente su elaborazioni del nodo borromeo, per mostrare ciò che diventa l’economia psichica quando il riferimento al padre cessa di essere pertinente e la dimensione del reale si trova di conseguenza occultata, come se quindi tutti i godimenti diventassero uguali e possibili ed in maniera tale che la nuova economia psichica di cui parlo è solo un sintomo di una cattiva lettura del nodo borromeo.

Sono le 20. Allora, tutti sono esausti, c’è lo spazio per una domanda? Io non so se ciò che ho detto corrisponde a ciò che vi aspettavate, se mi aveste fatto delle domande lo avrei saputo, e siccome non siete stati carini con me, sono stato costretto a procedere alla cieca, cioè in un modo che non è psicoanalitico, ma non mi avete dato scelta. Allora, se sono in torto, faremo come si fa in genere, si darà la colpa agli altri. C’è una domanda?

Muriel Drazien: Bisogna cercare di capire che abbiamo molto faticato ponendo delle domande a noi stessi e cercando di vederci chiaro, e allora è assolutamente normale che ci aspettiamo da te qualcosa che ci ricompensi un po’ di questo sforzo.

Io penso tuttavia che se avrete qualche altra seduta di lavoro con qualcuno che viene da Parigi, credo che sarebbe per voi più incisivo se non esiterete a porre delle domande, senza preoccuparvi se esse sono intelligenti, se sono idiote, questo non ha alcuna importanza. Davanti a questo genere di problemi siamo tutti idioti. Perché non siamo preparati, non abbiamo la formazione matematica, topologica, siamo tutti maldestri con queste cose. Dunque mi permetto comunque di consigliarvi, se fate venire qualcuno da Parigi, di preparare delle domande e di farle, e le domande più elementari, per es. “qui non capisco, che cosa c’è da dire su questo?”. Così, piuttosto che fare una lezione completamente in aria, credo che sia più semplice, più preciso. Non bisogna avere paura fra di noi di ricordare i nostri limiti, le nostre incomprensioni. Un giorno, vi farò il commento di una lezione, una sola, e vedrete come ciò che sembra complicatissimo.. In realtà Lacan racconta sempre la stessa cosa. Altrimenti, differentemente, con altre associazioni, conseguenze, e vedrete come è molto meno complicato.

Johanna Venneman: Quale stessa cosa?

Sempre le stesse, il reale, il simbolico, l’immaginario, non c’è rapporto sessuale, perché non funziona fra un uomo e una donna, qual è la materialità dell’inconscio, perché il reale è ciò che ritorna sempre allo stesso posto, la differenza fra il dire e il detto; si destreggia sempre con le stesse palline. In ogni caso, che si capisca o no, c’è una cosa che vi devo dire. Noi abbiamo una grande fortuna, perché nella vita intellettuale ci si annoia molto, è veramente la noia quella che domina, non succede niente. Con Lacan e dei piccoli gruppi così abbiamo la fortuna di essere eccitati, di essere accesi, e di interrogarci su dei problemi molto seri, e con Lacan non si tratta di problemi ai quali assistiamo da spettatori, ma si tratta dei problemi della nostra vita stessa. Quando discuto con degli amici filosofi, sono sempre così deluso, ma così deluso, è proprio deludente, e invece qui abbiamo una scaturigine, una vena. Dunque in qualunque modo va bene.

[Traduzione consecutiva di Janja Jerkov, revisione e trascrizione di Mariella Galvagno]

 

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