Da cosa si riconosce un’associazione di psicanalisti? – Charles Melman

Villa Mirafiori – Università “La Sapienza”
Roma,  29 marzo 2008

Per prima cosa bisogna sapere una cosa: un’associazione psicanalitica non funziona mai. E la questione è di sapere se oggi noi siamo capaci di costruire un’associazione che sia conforme ai principi della psicanalisi. Un’associazione psicanalitica non ha mai funzionato. Perché?

Innanzitutto perché un’associazione – un’associazione la cui attività sia di tipo intellettuale – fa sempre riferimento ad un’autorità fondatrice. Fa riferimento sempre a un sapere stabilito una volta per tutte dall’autorità fondatrice. Quando i membri dell’associazione studiano questo sapere s’innamorano dell’autorità fondatrice – vedete che questo ha a che fare con la religione, ma ieri non ho voluto accostare questo punto –, tra due mesi andrò in Marocco, per un incontro a Fez e il titolo che ho dato loro è “Perché sono innamorato di un testo?”.

Il problema specifico per uno psicanalista è che dapprima il suo compito è quello di liquidare il suo amore di transfert per il  fondatore e allo stesso tempo può pensare che tale liquidazione passi per la liquidazione del sapere del fondatore, e che lui a sua volta diverrà fondatore di un nuovo sapere e che questo sarà il modo buono di liberarsi del fondatore.

Per questo motivo, sia nelle religioni che nella psicanalisi, ci sono così tanti scismi. Voi non troverete una sola religione senza scismi. Oggi, ad esempio, noi crediamo che l’islam costituisca un fronte contro l’Occidente. Ma, all’interno stesso dell’islam, ci sono guerre di religione ancora più sanguinose di quella condotta contro l’Occidente. Sappiamo che la cristianità ha dato essa stessa origine a numerosissime Chiese e che il movimento prosegue. Quando vi recate in America Latina vi accorgete che continuano a sorgere Chiese che si autorizzano da un identico sapere, le cui applicazioni sono però diverse. Il problema che si pone a noi dopo Lacan – perché attorno a Freud il movimento è stato quello che vi ho descritto: Adler, Ferenczi, Jung, Reich, anche Jones, ci sono continuamente scuole che si formano e che vogliono liberarsi del sapere del fondatore.

Perciò il fondatore non ha avuto che un’unica soluzione, di cui parla Lacan. Egli dice che Freud ha fondato la sua scuola come una Chiesa, vale a dire con un’affermazione dogmatica dei suoi concetti e un rispetto per il fondatore analogo al rispetto religioso. Dall’insegnamento di Lacan noi sappiamo almeno due cose: che nel Reale questo fondatore si supporta di un au-moins-Un al quale attribuiamo sempre la facoltà di essere l’autore del sapere. Ma questo au-moins-Un non ha altra realtà che di essere un Uno. E invito coloro che tra voi amano gli studi a studiare Plotino. Vedremo come Plotino sia giunto, nel momento in cui nasceva il cristianesimo, a riunire Platone al culto dell’Uno.

D’altra parte, ciò che sappiamo da Lacan è che un sapere ha valore nella misura in cui installa un Reale. Un sapere che non installa un Reale, vale a dire che pretende di essere totalitario, che pretende di essere dogmatico, è o un sapere folle o un sapere che è solo lo strumento di un potere da esercitare sulla creatura umana. Lacan dice spesso che se non ci fosse stato il mito, il concetto, il mito di Edipo nell’insegnamento di Freud, esso sarebbe stato un insegnamento folle, ma è il mito di Edipo che in qualche modo ha supportato il Reale, vale a dire che c’è sempre un impossibile che nessun sapere formalizzato può risolvere. Ogni sapere, se è rigoroso e non è folle, e se non ha pretese religiose o politiche, riconosce che c’è un impossibile e che esso costituisce il Reale. Il che significa che, in psicanalisi, i concetti non pretendono mai di cogliere il Reale, ma solo di accostarlo ed è quello che dice esplicitamente Lacan.

 

Se Lacan accordava tanto valore al suo proprio insegnamento e se diceva che i suoi allievi dovevano seguire tale insegnamento senza cercare di comprendere, è perché il suo insegnamento è il solo che sia rispettoso di questa dimensione del Reale, di questo impossibile che si rivela una dimensione essenziale.

Un impossibile che non è fatto per marcare il limite del nostro sapere, ma è un elemento che bisogna integrare nel nostro sapere. Allo stesso modo in cui Cantor, dal momento in cui ha dato una lettera all’infinito, ha completamente modificato le matematiche, perché dopo Cantor possiamo far entrare l’infinito nel calcolo e questo cambia completamente il calcolo. E allo stesso modo far entrare il Reale, vale a dire l’impossibile, nei nostri calcoli modifica completamente la relazione a che cos’è il sintomo, a ciò che è il significante, a ciò che è il Nome-del-Padre poiché il Nome-del-Padre era semplicemente il significante con cui dire al soggetto che c’è un impossibile. Impossibile che verrà a figurare l’interdetto della madre.

Il problema delle associazioni psicanalitiche è che esse devono riconoscere che nel Reale non c’è alcun altro autore né creatura che non sia questo au-moins-Un, un puro Uno, e che d’altra parte il sapere non deve essere fissato dogmaticamente, ma che esso è autentico solo nella misura in cui riconosce il posto dell’impossibile, del Reale.

Quando Lacan lavorava sul nodo borromeo aveva sempre una preoccupazione: qual è il posto dell’impossibile nel Nodo borromeo? E voi non potete avere idea del numero di ore che passava con due giovanotti, che erano matematici, per cercare quale fosse il limite del Nodo borromeo, con la certezza che se non trovava quale fosse l’impossibile del nodo borromeo significava che aveva sbagliato. Ora succede che, quando fate parte di un’associazione nell’ambito della vita culturale, si esige che vi sia un fondatore e che il potere esercitato nell’associazione faccia leva sul fondatore oppure su qualcuno designato dal fondatore.

Ad esempio io sono stato designato dall’École Freudienne de Paris, sono stato designato dal fondatore e a partire da questo momento la mia autorità è stata fondata. E poi – in secondo luogo, quando si fa parte di un’associazione – vogliamo che il sapere fondatore sia stabilito una volta per tutte perché – e qui dovete capire molto bene – se bisogna avere degli allievi, occorre che essi si riferiscano ad un sapere stabilito una volta per tutte, se non si può averne, non si possono formare degli allievi. Gli allievi non possono sperare di divenire un giorno a loro volta dei maîtres, vale a dire maîtres del sapere. Se il sapere varia, è labile, come pretendere che si sia maître del sapere? Dunque, come pretendere di essere maître a propria volta?

Poco fa, con molta intelligenza, ho terminato il mio discorso sul fatto che l’oggetto piccolo a era il supporto di ogni valore. Quando leggete la scrittura del discorso psicanalitico, vedete che ciò che è messo nel posto del padrone non è il significante – cosa che ciascuno di noi spera – il significante maître perché questo significante maître posso sempre sperare di acquisirlo e di diventare io stesso un maître. Ma nel discorso dello psicanalista ciò che è nel posto maître è la lettera, che può assumere ogni valore, ogni significazione e che in qualche modo ricorda che non c’è un senso compiuto, detto altrimenti non c’è  che un Reale e che questo Reale è la condizione del nostro godimento. Occorre che ci sia un impossibile perché sia dato accesso al godimento.

Se la madre non è interdetta, l’accesso al godimento è reso difficile. Vedete che siamo in un campo insieme molto astratto – che capite appena – e che tuttavia è molto pratico e che determina tanto la vita individuale che la vita associativa.

Voglio raccontarvi, posso raccontarvi molte esperienze personali e spero che Muriel Drazien vorrà commentarle perché ne conosce qualcuna di queste. Lacan, come Freud, ha assistito a tutti gli scismi. Quando un allievo cresce, ritiene di potersi mettere lui stesso nel posto del maître e fondare il proprio sapere. L’esistenza di Freud, come quella di Lacan, è stata segnata dal dolore di vedere allontanarsi i suoi allievi migliori. Alla fine della sua vita, Lacan ha potuto pensare che l’organizzazione dogmatica del suo insegnamento, che affidava all’uno o all’altro di coloro che gli erano vicini, avrebbe permesso al suo insegnamento di sopravvivere. Ma aveva dimenticato che quest’insegnamento sarebbe servito per fabbricare altri maîtres, cosa che risponde al nostro auspicio, al nostro augurio di levare ogni forma d’impossibile, perché è questo che ci aspettiamo da un maître, non accettiamo che il potere di un maître sia limitato, amiamo un maître nella misura in cui è totalitario. Se non è totalitario, possiamo avere dell’amore per lui per pietà, per carità, possiamo amarlo per le sue ferite, per le sue piaghe aperte e per l’ingiustizia che gli viene fatta per non essere totalitario.

Un’altra esperienza ancora. Già da qualche anno mi sono ritirato dalla direzione dell’associazione che ho fondato, con la seguente pretesa: se il mio insegnamento è stato efficace, è normale che i miei allievi possano fondare dopo di me, una vera associazione psicanalitica, cioè sbarazzata dei suoi problemi nei confronti dei fondatori e in una relazione sana nei confronti del sapere, nella misura in cui un vero sapere non può essere totalitario, ma deve riconoscere la dimensione dell’impossibile. E cosa ho constatato? Ho constatato che degli allievi molto competenti e che continuo ad amare molto, venivano subito ad affermare la maîtrise assoluta del sapere psicanalitico, vale a dire promuovere un discorso tipicamente universitario, perché il sapere universitario S2 è di questo tipo, e dunque sono stato obbligato ad intervenire con gentilezza per cercare di ristabilire la situazione, una situazione che non è perfetta.

Quando si tenevano le riunioni del Direttorio dell’École Freudienne de Paris – vi ho preso parte durante tutta la durata dell’École Freudienne de Paris – Lacan aveva una posizione molto precisa: non diceva mai assolutamente nulla. Ecco qual era la sua maniera di dirigere l’École Freudienne de Paris, vale a dire che per ciascuno dei suoi allievi ripristinava il fatto che nell’Altro, nel grande Altro, non c’è alcun buon padre direttore per orientarci. Ci diceva: «Nel grande Altro non c’è che silenzio, e sbrogliatevela con questo». Ha funzionato? No! Allora cosa potrebbe funzionare?

Il mio punto di vista è il seguente: quando leggete la storia del movimento psicanalitico – è molto istruttivo, non per gli aneddoti, ma per ciò che esso rivela – vale a dire che tutti i movimenti psicanalitici sono costruiti come delle famiglie e ci sono le stesse guerre di quelle all’interno delle famiglie e, in particolare, la questione assolutamente fondamentale di sapere chi è il figlio prediletto, o la figlia prediletta.

Vi racconto tutto questo – sapete, dico la stessa cosa ai miei amici parigini –  ma vi dico tutto questo perché trovo che la psicanalisi che ha più di cento anni di vita merita di meglio, meriti di meglio di questo e noi avremo una prova della sua efficacia nella misura in cui avremo un’associazione che saprà che il Reale non ha altro occupante che au-moins-Un, vale a dire un puro tratto Uno.

Plotino amava l’Uno, possiamo diventare anche noi amanti dell’Uno, ma nel Reale c’è solo un tratto Uno e d’altronde il sapere non può mai pretendere di rispondere al nostro auspicio di essere totali, compiuti, chiusi, stabiliti una volta per tutte, in modo tale che non abbia che da seguire i suoi binari e che, a partire da questo momento, tutte le dispute di tipo familiare che ci sono nelle associazioni testimoniano semplicemente del fatto che noi non applichiamo a noi stessi quanto insegna la psicanalisi.

Io credo che è qualcosa che oggi possiamo realizzare – ma forse mi sbaglio – credo che possiamo realizzarlo e se noi ci riusciamo questo crea una società di rapporti sociali del tutto diversi e molto interessanti.

Io dovevo, io avevo proposto a Parigi di parlare per due giorni durante il mese di maggio della questione che segue: quale sarebbe la città ideale per uno psicanalista? Il che, evidentemente, implica quale sarebbe l’associazione propria, specifica per uno psicanalista?

 

E poi mi è parso che fosse un po’ prematuro, ma è una questione che ciascuno di voi potrebbe porsi: qual è il tipo di legame sociale che organizza il discorso quando è l’oggetto piccolo a che viene nel posto del padrone? Non l’Uno, non il tratto che barra, ma la lettera. Tutto questo fa parte delle difficoltà fino ad oggi irrisolte e mi sembra che se gli allievi devono avere un’ambizione è di rispondere a queste questioni, che va assolutamente contotendenza rispetto alle nostre aspirazioni spontanee.

Ho saputo che negli Stati Uniti, dove si fa il peggio e il meglio, ci sono delle società dell’industria il cui Consiglio di Amministrazione ha la particolarità di non avere alcun chairman, vale a dire che il Consiglio di Amministrazione si riunisce attorno ad una tavola dove la poltrona dello chairman è vuota.

Il problema – perché sembra che queste società funzionino benissimo –  ma il punto è che c’è il posto di quella poltrona, se la togliete, cambia tutto.

Il talento di Lacan è stato quello proprio di mettere all’opera questa poltrona e ha detto, parola per parola, questo: «il mio unico errore è quello di occupare questa poltrona». Ma come far valere questa poltrona se non appunto con la sua autorità?

Ecco, direi, il tipo di problemi che sono quelli della nuova generazione. Se non si risolvono correttamente questi problemi, con tutto il rispetto doveroso nei confronti di chi si sforza di far sì che questa poltrona sia resa operante, anche se quel posto deve occuparlo per far sì che quella poltrona, quel posto sia rispettato, ebbene che queste nuove generazioni possano dunque compiere un passo decisivo, un passo essenziale e se ci è permesso sperare è in questo tipo – direi – di progresso mentale che vi assicuro cambia radicalmente il rapporto che abbiamo con i valori che ci fanno correre.

Ve ne sono due, uno è tradizionale e Freud conosceva solo questo, il valore fallico; l’altro valore – ed è Lacan che lo ha teorizzato – è l’oggetto piccolo a. Sono loro i due valori dietro cui corriamo, sono i nostri veri padroni, quelli che fanno sì che siamo degli stupidi.

Il solo modo per cominciare a riflettere è di poter relativizzare questi valori, di essere divisi nei loro confronti, come la donna è divisa in rapporto al fallo – giacché, se per metà è folle, per metà è anche saggia, poiché è divisa rispetto a questo fallo e poi è ugualmente divisa nei confronti dell’oggetto piccolo a, come lo è il soggetto del fantasma.

Dunque date all’oggetto del fantasma il suo posto.

Sicuramente non ho soddisfatto le vostre attese. Sono assolutamente convinto che aspettavate da me altre considerazioni, ma se non abbiamo il coraggio di trattare le questioni di fondo, ebbene ci limiteremmo a ripetere quella che è sempre stata la maggiore difficoltà della psicanalisi: cioè il suo stabilirsi come disciplina che resiste agli auspici spontanei del soggetto che vuole un maître dimenticando che è sempre diviso rispetto all’oggetto del suo desiderio.

Ammiro la pazienza – o l’impazienza – con cui mi avete ascoltato e vi ringrazio per non avermi lanciato qualche oggetto in faccia.

 

 


[1] Traduzione di Virginia Zullo e Cristiana Fanelli, editing di Rossella Armellino

 

 

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