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A proposito del matrimonio gay
Il dibattito pubblico sembra confuso, giusto effetto di una domanda mal posta.
Si può introdurre qualcos’altro?
Osserviamo che il matrimonio è un istitutuzione antropologico, universale dunque, le cui cerimonie religiose o civili marcano solo il riconoscimento sociale.
Il matrimonio come istituzione organizza tra le comunità umane lo scambio delle donne. È in modo abusivo che si evoca a questo proposito “l’interdetto” dell’incesto in quanto non è formulato da nessuna parte, ma interpretato a partire da un reale che lega la perennità del desiderio sessuale al rapporto con l’alterità.
Quest’apparente necessità sarebbe tolta dall’omosessualità che testimonia di un interesse particolare per lo stesso (cosa che è già all’opera in Platone), al punto che la forza del dispositivo è tale che esso sostituisce regolarmente all’identità del sesso dei partner un’alterità dei posti, apparentemente inevitabili. Se questo è il caso, l’identità sessuale del partner non diventa un problema indifferente? Questo problema trova posto in una “teorizzazione” che da Deleuze considera il corpo come un organismo alla ricerca nell’ambiente di una soddisfazione indipendente dal sesso legata a questo corpo come a quello del partner.
La fantasia – non si può nemmeno più dire il fantasma – vince così sull’anatomia e le prescrizioni simboliche ad essi connessi. Due punti restano allora sospesi in questa promessa.
1) Un rapporto che non è più mediato dal gusto dei partner, senza riferimento terzo, porta necessariamente al culto del dominante/dominato, un rapporto di controllo reciproco che non ha altro senso che quello di compiersi.
2) La messa in discussione, con il matrimonio gay, di un istituzione antropologica problematizza la natura della specificità dell’uomo nel regno animale. Sappiamo che per i ricercatori del campo delle cosiddette neuroscienze, non c’è. Ne resterà una per i nostri politici?
Charles Melman