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Fabrizio Gambini – Perseguitare il persecutore, ovvero cosa ne è della Paranoia nella società dell’immagine?

Saggio per un’analisi topologica di una forma di psicosi nella Nuova Economia Psichica.

Nell’interlocuzione tra l’Io e un’allucinazione non è mai questione di simmetria. Non c’è alcuna forma di simmetria tra l’Io stesso e l’oggetto che si presenta come allucinazione. È un altro modo per dire quel che Freud già notava, ovvero che l’oggetto, quando si presenta, è presente su uno sfondo d’angoscia. L’angoscia accompagna sempre una percezione il cui tratto fondante è la mancanza di simmetria rispetto all’Io per cui si produce.

È questo l’incubo della materializzazione del doppio: l’immagine speculare che ci corrisponde, col braccio sinistro che gratta lo stesso naso che noi grattiamo col destro, cessa di essere speculare, si anima di un’anima che non è la nostra, e smette di corrisponderci. A ben vedere non è neanche sicuro che si tratti dello stesso naso perché, ad esempio, nel caso che sul naso si abbia un neo sulla narice destra, l’immagine corrispondente mostra un naso fornito di neo a sinistra. La simmetria è in fondo la garanzia di un ordine che fa sì che il mondo che vediamo corrisponda ordinatamente a ciò che supponiamo ci sia lì dove qualcosa vediamo. Si tratta della simmetria fondamentale che costituisce la garanzia della relazione biunivoca e simmetrica tra ciò che è impresso sulla retina come immagine e quanto c’è nel mondo la cui immagine ci rappresentiamo. Ma quando l’immagine in sé si anima? Quando si rende cioè indipendente e si mette lei, l’immagine, ad esistere? Allora la simmetria costitutiva del nostro mondo si rompe e la mancanza di simmetria che caratterizza l’insorgenza del doppio genera angoscia. Da questa angoscia, a protezione dall’angoscia stessa, si genera l’idea del persecutore. È quello che succede al personaggio di Gogol che si trova perseguitato dal proprio naso, è quello che succede al personaggio della fiaba di Andersen che si trova perseguitato e condannato a morte dalla propria ombra, è quello che avviene al Dr Jekyll perseguitato dall’odioso Hyde, ed è quello che avviene a Tertuliano Máximo Afonso per aver noleggiato una videocassetta. In sostanza è quello che sempre avviene nel momento in cui la fantasia dei romanzieri evoca l’incontro impossibile col doppio.[1]

Il doppio infatti è quanto ci corrisponde, senza però corrispondere per questo all’immagine che noi ci facciamo del mondo. A prima vista non tutti gli oggetti che ci corrispondono e animano un Reale diverso dalla nostra realtà, sembrerebbero avere la caratteristica di essere “doppio”, ma, a ben vedere, c’è qualcosa che spinge comunque in questa direzione. Che dire, ad esempio, del Dio che parla all’Io dal luogo della forclusione dell’istanza paterna? Il Dio della psicosi, in qualche modo, è sì un doppio dell’istanza paterna,[2] ma un doppio che non possiamo riconoscere come tale, non avendo accesso all’originale così duplicato. Il risultato è che la percezione allucinatoria compare, come si è detto, su sfondo d’angoscia. Evidentemente il rapporto tra Io e Dio è altra cosa del rapporto tra Io ed Io[3]: il Dio che parla allo psicotico è un altro Dio da quello che l’Io si rappresenta come oggetto della fede che sceglie di testimoniare. Siamo un po’ nella situazione evocata da quella barzelletta, puntualmente e acutamente segnalatami dalla persona alla quale avevo accennato, per discuterne, il contenuto di questo scritto, e nella quale un signore si trova totalmente solo in cima ad una montagna e di fronte ad un panorama grandioso. Si guarda intorno, guarda in alto, e comincia a gridare: “C’è qualcuno?” Sempre più angosciato e inquieto, grida sempre più forte, fin quando una voce dal cielo risponde “Dimmi figlio mio”. “Chi sei?” interroga l’uomo, e la voce risponde “Io sono Dio”. “E come faccio a saperlo?” interroga di nuovo l’uomo. “Gettati nel vuoto affinché i miei angeli ti possano raccogliere e portarti da me” risponde serena la voce. L’uomo, incerto, si guarda un po’ intorno e grida: “C’è qualcun altro?”

Il punto fondamentale dunque è che quello che ci corrisponde nel registro della psicosi, ad esempio le allucinazioni che noi produciamo, non ci corrisponde nel registro immaginario, e per questo simmetrico, in cui l’Io riconosce il mondo e riconosce se stesso. Per questo, ripeto, l’insorgenza dell’oggetto nel nostro campo percettivo avviene e non può che avvenire su sfondo d’angoscia.

Non è l’unica caratteristica dell’oggetto. Ad esempio ce n’è una seconda che è quella della reciprocità. Ma la reciprocità non è la simmetria. Da un oggetto orale si può essere mangiati, da ciò che vediamo possiamo essere visti ma, ripeto, questa reciprocità non è simmetria e, non essendo simmetria, non è in grado di proteggerci dall’angoscia. Che dire, ad esempio, di una madre che dica al proprio bambino: “Ti mangerei di baci”? La fonte di nutrimento si fa divoratrice. Dove collocare un amore del quale si è oggetto e in nome del quale si può essere nutriti, vezzeggiati e, nello stesso tempo, divorati?

Non saprei citare l’autore o il titolo, ma ricordo perfettamente un breve racconto di fantascienza in cui una specie di postino spaziale naufraga con la propria astronave su un pianeta sconosciuto e lì si imbatte in un enorme animale simile ad una pantera. Della pantera l’animale ha il corpo, i peli, la bocca, le zanne e gli artigli, ma non ha gli occhi né il naso né le orecchie. La testa assomiglia piuttosto ad una grossa palla di pelo il cui aspetto è tale da far pensare che l’animale voglia aggredire e divorare l’uomo. Nel suo cercare di sfuggire all’animale, l’uomo si chiede con quali sensi l’animale lo individui, per capire come nascondersi: sottrarsi allo sguardo su o dietro un albero, sottrarsi all’olfatto rotolandosi nella terra o immergendosi nell’acqua, sottrarsi all’udito restando in assoluto silenzio? Come sfuggire a chi ti segue senza occhi per vedere, orecchie per sentire e naso per annusare?[4] In forma romanzata è la questione che Lacan pone nel seminario sull’angoscia quando evoca l’immagine di una mantide religiosa nel cui occhio prismatico non ci si può specchiare. Non sappiamo cosa e chi siamo per lei che, insieme, ci ama e ci divora. È da questa forma d’angoscia che la simmetria dell’immagine ci protegge: occhio per occhio, dente per dente, punto per punto. L’allucinazione, il ritorno dell’oggetto nel reale, pur essendo preso nella reciprocità, manca di questa simmetria, e per questo genera angoscia.

Un modo per proteggerci dall’angoscia generata da questa specifica mancanza di simmetria, senza per questo sprofondare in un rapporto puramente immaginario tra l’Io ed il suo Tu speculare che, in quanto tale, non è nient’altro che l’immagine rovesciata dell’Io, è il riconoscimento della funzione della differenza sessuale. Molto banalmente, questo significa potersi inscrivere, ad opera della castrazione, in una soggettività sessuata.

Vale la pena, a questo punto, di fare una piccola digressione, circa le modalità con le quali il riconoscimento della differenza sessuale ci protegge dal presentarsi dell’oggetto in quanto fonte d’angoscia. Di questo si hanno tracce imponenti quanto evidenti: ho visto recentemente un adolescente precipitato in una crisi di panico dal pensiero che forse era all’inizio di una relazione d’amore, e di sesso, con una compagna di scuola. Se la relazione non è col simile, con lo speculare, col simmetrico e, per questo, col prevedibile, la relazione stessa diventa fonte d’angoscia: per salvarsi, ha dovuto fuggire, come il postino spaziale o come davanti ad una mantide religiosa.

Usualmente il nostro strutturale sentimentalismo ci porta a pensare che là dove c’è sesso, possa eventualmente esserci anche amore. Talvolta ci spingiamo addirittura a pensare il sesso come conseguenza sciagurata della caduta dell’amore e al ritorno all’amore come guarigione dal sesso. Per introdurre invece il punto centrale di quel che intendo con la nozione di ineliminabilità della presenza della divisione sessuale per quanto riguarda la protezione dall’angoscia, vorrei provare a rovesciare la frase nel modo seguente: là dove c’è amore siamo sicuri che, se le vanno come devono andare, c’è sesso, ovvero è il sesso che consentirebbe una sorta di guarigione dall’amore, che ne consentirebbe, diciamo così, un esercizio temperato. Si tratta di una proposizione che, a ben vedere, è decisamente fastidiosa e, direi, poco digeribile ai più.

Finché la questione riguarda un uomo e una donna siamo tranquilli, ben installati nel nostro senso comune come in una pantofola, ma la stessa proposizione può ugualmente riguardare due uomini o due donne, così come riguarda madri, padri, figli e figlie, e come riguarda la relazione che ognuno di noi ha con il prossimo, del quale ci dicono che andrebbe amato come amiamo noi stessi. La frase riguarda dunque anche la relazione che abbiamo con noi stessi e, infine, riguarda l’amore degli amori, il modello di ogni amore, ovvero l’amore che l’essere umano ha per Dio e il suo reciproco: l’amore che l’uomo suppone a Dio nei suoi confronti.

Quando dico che quello per Dio è il modello di ogni amore, intendo qualcosa di molto preciso, ovvero che è modello di ogni amore perché è amore nella sua forma pura, nella sua forma perfettamente soggettiva, in quanto rivolto a ciò che non c’è: amore per ciò che non esiste. Il punto è che questa forma di assenza dell’oggetto è caratteristica di ogni forma d’amore e, ripeto, è per questo che l’amore per Dio è il modello di ogni forma d’amore. L’oggetto d’amore non c’è, come non c’è Beatrice per Dante, Laura per Petrarca e Silvia per Leopardi. Tutt’e tre, Beatrice, Laura e Silvia, hanno dovuto non esserci per poter esistere per sempre per ognuno di noi in quanto trasfigurate dall’amore di uno di noi.

L’amore è amore dell’assenza, è amore della mancanza. L’amore è nostalgia, è lontananza. Lo celebra una vecchia canzone di Domenico Modugno: “La lontananza sai è come il vento…” che non ricordo esattamente cosa faccia ma che, in sostanza, trasforma in incendi i fuocherelli, e lo celebra una celebre immagine di Levinas, che metaforizza l’incontro con l’altro come una carezza, ovvero un gesto pudico di ritiro e di allontanamento.

Ora, il sesso è precisamente ciò che istituisce la mancanza che, quando funziona come si deve, genera carezze, ovvero amore.

Questo vuol dire, ad esempio, che c’è divisione sessuale tra una madre e suo figlio e, se c’è divisione sessuale, è fondamentale che ci sia riconoscimento della stessa e che, conseguentemente, possa esserci la sua simbolizzazione, ovvero il suo farsi parola. Forse è necessario ricordare a questo punto la psicoanalisi e l’accusa di pansessualismo che a questa è stata e continua ad essere rivolta. Su questo, sull’importanza della teoria sessuale per Freud, ci sarebbe da interrogarsi al lungo[5], per il momento limitiamoci ad osservare che una madre che abbia parole per nominare la distanza, che l’accetti come costitutiva della relazione, potrà volere il bene di suo figlio senza per questo volere la perfetta corrispondenza tra il figlio e l’oggetto immaginato come necessario al compimento del suo ben-essere di madre. Pensate all’amore di Maria per Gesù, amato come figlio e “lasciato” libero di morire in croce per compiere qualcosa che riteneva parte necessaria del suo percorso. Ma, molto più in piccolo, penso alla madre di un mio paziente, un omone di 120 kili del quale la madre è riuscita a dire: “Lei lo sa dottore, per me N. è come un figlio”. Chi assisteva con me al colloquio l’ha preso come una sorta di lapsus con il quale si prendeva una certa distanza dalla maternità e dalla responsabilità della stessa. È strano, ma io l’ho presa al contrario: avere un figlio può succedere; succede alle leonesse e alle tigri come alle donne, ma che N. fosse come un figlio, implica una scelta, un rafforzamento, un raddoppiamento[6] e una conferma solo umana del legame biologico. Ovvero ho letto in quel “come”, la cifra di un disconoscimento, di un mancato riconoscimento della differenza sessuale che separasse l’omone da ciò che era per sua mamma.[7]

Al contrario, il riconoscimento della differenza sessuale, questa introduzione nella dialettica io – tu di una differenza che, ripeto, è sessuale, impedisce lo svolgersi di un rapporto sterile, a prodotto zero, puramente immaginario tra l’Io e il suo Tu speculare, che non è nient’altro che l’immagine rovesciata dell’Io.

È da questo che il riconoscimento della differenza sessuale ci protegge. Più in generale non si tratta solo di protezione dalla psicosi, ma anche del fatto che, ad opera del riconoscimento della differenza, siamo protetti dalla contingenza moderna che vede il trionfo dell’immaginario e l’annegamento del desiderio nella concupiscenza dell’oggetto di consumo.

In questo contesto l’altra metà dell’androgino, la metà perduta, non sarebbe, diciamo così, l’altra metà della mela, bensì l’immagine speculare dell’unica metà che, in quanto immagine, sostiene l’illusione dell’esistenza della mela in quanto intero. Ne consegue che la sessualità è ciò che consente a tutte le mezze mele che siamo di sopportare di essere divise e, insieme, di avere a che fare con altre mezze mele, anche loro auspicabilmente sopportanti di essere mezze. [8]

Sappiamo bene che è per questa ragione che nella psicosi, caratterizzata da una peculiare difficoltà di accesso alla castrazione, resta la traccia di una difficoltà nel riconoscimento della differenza tra i sessi. Freud direbbe che resta la traccia della fondamentale bisessualità dell’essere umano, resta, in ogni caso, come una specie di ordito che soggiace alla tela in cui si rappresenta ogni forma unica, individuale e irripetibile di psicosi.

Anche nel caso del quale intendo parlare c’è una traccia di questo, e Barbara, puntualmente, narra di un passato “gravato” da difficili esperienze omosessuali. Adesso non ha una vita sessuale e il sesso sembra essere l’ultimo dei suoi problemi. La peculiarità di Barbara, la cifra della sua situazione psicopatologica, non sta però nella sua presunta omosessualità, bensì nel modo in cui Barbara nega la funzione della differenza nella relazione Io – Tu, interloquendo con un altro immaginario che non sarebbe nient’altro che lo specchio dell’Io, se non fosse che il gioco tra l’oggetto a e l’oggetto a1 fa comparire nello specchio l’oggetto, dando all’altro della relazione immaginaria la funzione di persecutore. In altre parole, il sintomo, piuttosto che operare come una sorta di raddoppiamento del simbolico, nel caso di Barbara, opera piuttosto come un raddoppiamento dell’immaginario, in un gioco tra a e a1 che esclude ogni rassicurante simmetria nello specchio dell’Io.

Partiamo, per provare a rappresentare questa situazione, dal gioco tra immaginario, reale e simbolico.

È un gioco che possiamo immaginare[9] attraverso un falso nodo a trifoglio:

nodo a trifoglio

Qui, nel falso nodo a trifoglio, avremo che la separazione, e dunque la possibilità di funzionamento simultaneo R. S e I in quanto separati, è data soltanto dal ripiegamento del tratto orizzontale della corda verso l’alto e che niente impedisce al trifoglio di diventare un otto, e all’otto di diventare un cerchio, ovvero uno spazio in cui non è possibile alcuna articolazione tra R,S e I: quello che sarebbe una sorte di morte psichica, una resa totale alla schizofasia, al gioco totalmente anarchico e disarticolato tra lettera, significante e significato. Affinché questo falso nodo tenga, consentendo almeno una parvenza di psichismo, è dunque necessario ricorrere ad una seconda corda, che può essere posizionata in diversi punti:

Il primo (fig. 1) fissa l’incrocio in basso in modo da lasciare possibile in ogni momento la costruzione di un otto in cui S è separato dallo spazio comune di R e I.

n2Il secondo (fig 2) fissa l’incrocio a sinistra in modo da consentire un otto in cui R è separato dallo spazio comune costituito dalla coincidenza di S e I:

n3Il terzo infine fissa l’incrocio a destra in modo da rendere impossibile il disfacimento della forma a trifoglio (fig. 3) e dunque l’articolazione e separazione tra S, R e I.

n4

Direi che per Barbara qualcosa è successo che ha legato i tre registri nel modo indicato dalla figura 1, ovvero una sorta di forclusione del simbolico che lascia totalmente separato lo spazio comune al reale e all’immaginario. Il reale è quel che Barbara immagina che sia e, nella realtà, questo reale compare come un’ombra pervasiva, come un doppio strisciante che la getta nell’angoscia. Mancanza di simmetria, l’abbiamo detto, ma non mancanza di reciprocità e dunque l’odio per l’ombra crea l’odio da parte dell’interlocutore che da quest’ombra è investito. In altre parole, gli accidenti della sua vita, l’hanno portata ad annodare i registri all’incrocio di I e R (fig. 1). Questo significa che l’oggetto a si raddoppia immaginariamente in un oggetto a1 del quale non c’è modo di liberarsi e che non cessa di segnare, con la sua angosciante presenza, l’altro dell’interlocuzione immaginaria. Fermo restando quell’annodamento, si è prodotta una irrimediabile separazione tra S da un lato, e I ed R dall’altro. E anche questo è un modo per rappresentare qualcosa della forclusione del simbolico che costituisce il tratto propriamente paranoico di Barbara.

Il padre, professionalmente affermato, ha su di lei e sul suo corpo un potere di vita e di morte. Barbara ricorda, o meglio, pensa e teme di ricordare, un episodio un po’ confuso: lei bambina su un divano, qualcuno, forse un amico del padre, era seduto sullo stesso divano e delle carezze o un contatto le hanno fatto pensare che il padre, presente nella stanza, la offrisse quale oggetto di godimento sessuale alla concupiscenza dell’altro. Se dichiarava la sua difficoltà, se cercava aiuto, in questa come in molte altre circostanze successive, la domanda d’aiuto era bollata come malattia dal padre che, a causa del suo potere sociale e professionale, e intendo con questo il potere pressoché infinito che Barbara suppone al suo terrificante padre immaginario, trovava sempre chi ratificava questa sua diagnosi, impedendo così all’urlo di dolore di Barbara di essere altra cosa che una espressione sintomatica, scaturita come un fungo dal suo micelio dal luogo oscuro della follia di Barbara. Qui non si tratta di metafore. Al centro della questione si trova infatti la voce o, se preferite, l’orecchio che questa voce raccoglie. È l’orecchio/voce che, letteralmente, incarna per Barbara il persecutore. I vicini la odiano e la perseguitano perché odono le sue urla, e non si rendono conto che lamentandosi di queste, la spingono ad urlare sempre di più, in una spirale senza fine. Adora il telefono, è il suo strumento preferito. Quando mi parla, anche di persona, nei momenti in cui mima la voce dell’Altro (il padre, un vicino), la sua voce si arrochisce, si trasforma e si carica d’odio come una nuvola dell’acqua di un temporale. Lo stesso tono a tratti compare, non come mimesi dell’altro che la perseguita, bensì come effetto del suo rivolgersi a me, quando mi ingiuria. In questa circostanza è lei il persecutore che mi accusa di perseguitarla in quanto rappresentante di una psichiatria che non ha con lei altro rapporto se non quello determinato dal suo essere lo strumento coercitivo e violento della volontà persecutoria del padre. L’annodamento di Barbara si è fatto tra un padre immaginario e terrificante che minaccia, punisce ma che non istituisce una regola riconoscendo la quale si avrebbe diritto all’amore. La domanda d’amore, rivolta a quell’oggetto immaginario, diventa persecuzione, diventa stimolo alla punizione, all’esercizio della violenza. Quello di Barbara è un odio/amore che genera odio. Barbara diventa così una specie di stalker,[10] preda di una paranoia che ha la preoccupazione di costruire concretamente, nella realtà, il proprio persecutore, e lo fa nell’unico modo che conosce, perseguitandolo. D’altronde è l’odio che si situa alla giunzione tra immaginario e reale ed è lì che Barbara si è trovata a fare il suo annodamento. Il simbolico resta fuori campo, escluso dal tentativo di far coincidere la realtà col reale annodato all’immaginario.

Questa situazione domanda una particolare cura per essere maneggiata ed è una cura alla quale si deve sempre molta attenzione quando si tratta di maneggiamento di un transfert psicotico. Bisogna fare attenzione a che, nella gestione transferale di una situazione del genere di quella descritta, non si vada formando un annodamento di tipo 2 che vede l’immaginarizzazione di un padre simbolico a scapito di una specie di “forclusione” del Reale che non ne consente alcuna caduta. Barbara mi parla di un precedente terapeuta, morto, che lui sì che aveva capito, che lui sì sarebbe stato in grado, che lui sì avrebbe potuto antagonizzare il padre. Ciò a cui bisogna fare attenzione è di non trovarsi mai nella posizione del terapeuta morto, ovvero di chi lui sì. È una posizione che apre fatalmente a reazioni terapeutiche negative. Il reale non metabolizzabile di questa immaginarizzazione di un transfert simbolico, ritorna sempre e ritorna con la carica di odio che puntualmente si presenta alla giunzione tra reale e immaginario.

Eppure si tratta di provare ad operare uno spostamento del nodo dalla posizione in cui il legame tra immaginario e reale forclude il simbolico (fig. 1), ma si tratta di spostarlo verso il legame tra simbolico e reale che, come si vede dall’immagine del nodo, non “forclude” nessuno dei tre registri, bensì li tiene annodati in modo che questi possano funzionare all’unisono ma separati tra loro.

Ora, per forzare il transfert a costruire questo tipo di quarto anello (fig. 3) non è che ci siano molti modi, anzi, sempre più, con l’avanzare della mia esperienza nel trattamento di quadri psicotici gravi, mi pare che il modo sia uno solo ed è quello di far valere, in un certo modo, la funzione del “no”.[11]

Il “no” di cui si tratta è un “no” al quale un agente sia supponibile. Questo significa che quel “no” non sarà un puro Reale che, a rigor di termini, renderebbe letteralmente non esistente l’oggetto negato, e che non sarà neanche il riflesso di una posizione immaginaria (fin troppo facilmente percepibile come contrap-posizione) attribuita all’altro che detta la sua legge violenta e arbitraria. Piuttosto il “no” che andiamo ricercando è la funzione di un limite percepito come il riflesso di un po’ di Simbolico, del poco Simbolico che il soggetto può avvicinare, avvicinandosi così, nella misura del possibile per lui, a qualcosa che sarebbe vagamente dell’ordine della castrazione.

 


[1] Quella sul doppio è una letteratura che, oltre che affascinante, è anche molto ampia. Si va dal saggio di Rank (Il doppio, tr.it. SE 2001) al racconto di Gogol (Il naso, tr.it Einaudi 2004) alla fiaba di Andersen (L’ombra e altri racconti, tr.it Orecchio Acerbo, 2005) al racconto di Stevenson (Il Dr Jakill e Mr Hyde, tr. it. Feltrinelli 1991), a quello di Poe (William Wilson, tr. it. Mondadori 2002) e a quello di Saramago (L’uomo duplicato, Einaudi, 2003), fino alla bella raccolta di Bovino Davico (L’io e l’altro. Racconti fantastici sul doppio, Einaudi 2004).

[2] “Ciò che è impossibilitato a venire all’interno viene all’esterno” (Freud) e “ciò che è forcluso nel simbolico torna nel reale”.(Lacan). Queste due proposizioni, citate a memoria, indicano lo stesso concetto, ovvero che l’oggetto che si presenta all’esterno, nel reale, sotto la forma di allucinazione o di idea delirante, è il corrispettivo di un oggetto impedito da una resistenza specificamente psicotica (Verwerfung o, come tradotto da Lacan, forsclusione) a presentarsi all’interno dell’apparato psichico in quanto rappresentazione.

[3] È un caso ma, nello stesso tempo, non è un caso se le due locuzioni “Io e Dio” e “Io ed Io” hanno la stessa identità fonetica. Non è poi così facile distinguere tra le due. Per inciso ricordo che Io e Dio è anche il titolo di un bel libro di Vito Mancuso (Garzanti, 2011) che, da questo punto di vista, può essere letto in continuità con Eclisse del Dio unico (F. Palazzoli, Il Saggiatore, 2012) che evoca la dimensione di una religiosità prét à porter nella quale a ognuno è concesso di credere al suo Dio, come si diceva: Io ed Io, piuttosto che Io e Dio. A riprova del fatto che si tratta di qualcosa che caratterizza lo spirito dei tempi, lo stesso concetto, ovvero quello di una sorta di politeismo di ritorno, si trova espresso anche da Ulrich Beck (Il Dio personale, tr. it., Laterza, 2009).

[4] Da quello che ricordo del racconto in verità una specie di simmetria viene ripristinata, sia pure a senso inverso, ed è questo che consente al postino di sfuggire all’animale. Ad un certo punto infatti il postino si rende conto che l’animale percepisce la paura che provoca ed è la paura di diventarne preda che fa di un altro animale una sua preda. Quindi basta non aver paura di ciò che si presenta come fonte di paura e il gioco è fatto: la preda cessa di essere tale.

[5] Cfr. Fabrizio Gambini, La Nuova Storia di Pinocchio. Ovvero la Nuova Economia Psichica (NEP) al tempo del seno come segno della differenza tra i sessi, in “Psichiatria/Informazione”, III – 2013, p. 43.

[6] È un altro modo di intendere la nozione di “doppio legame”: un legame che si fa doppio legando il soggetto impedito a divenire all’oggetto che quel soggetto è per l’Altro.

[7] A titolo di aneddoto integrativo ricordo che l’omone dormiva in un lettino nel tinello, coperto di ciniglia rosa e sul quale troneggiava un’enorme bambola.

[8] Cfr. Fabrizio Gambini, La Nuova Storia di Pinocchio, cit. Inoltre tutta la questione della “simmetria” e della sua mancanza nell’esercizio della sessualità si rapporta molto precisamente a quanto Lacan tratta nel Seminario dedicato al Sinthome e a questo si rimanda: Là où il y a rapport, c’est dans la mesure où il y a Sinthome, c’est-à-dire où, comme je l’ai dit, c’est du Sinthome qu’est supporté l’autre sexe…Le Sinthome se caractérise de la non-équivalence. J. Lacan, Le Sinthome, Lezione del 17 febbraio 1976, p. 138-139.

 [9] Immaginare il nodo tra immaginario, reale e simbolico (I,R e S) è già un modo per entrare nel vortice abissale a cui il nodo apre: l’immaginario attraverso cui si immagina la funzione dell’immagine, è un immaginario diverso da quello che è immaginato come oggetto della nostra riflessione? Nella proposta che Lacan fa del nodo a più riprese e in diverse forme la questione è sempre presente e trattata a partire dal fatto che immaginaria è la consistenza della corda con la quale si fa un nodo tra immaginario, reale e simbolico, anche se una delle conseguenze di una forma particolare dell’annodamento (nodo borromeo) è che i tre anelli (I, R e S) devono risultare strettamente equivalenti, ovvero che ognuno deve essere il terzo necessario rispetto agli altri due affinché vi sia tenuta del nodo stesso.

[10] Cfr. F. Gambini, Paranoie, in corso di stampa.

[11] La questione è stata già accennata in un scritto al quale rimando per un suo approfondimento nel contesto del quale quello scritto trattava: F. Gambini, Un ricovero come esperienza di libertà, parte I e II, in “Psichiatria/Informazione” numeri

15-16 giugno, Napoli – Conferenza del dott. Marc Darmon

Associazione Lacaniana di Napoli

Membro dell’Associazione Lacaniana Internazionale

e dell’ALI-in-Italia

  

Conferenza di

Marc Darmon

 

Psichiatra, Psicanalista

membro dell’ALI-Parigi

 

 

Lo schema R e lo schema I

nella “Questione preliminare”

 

sabato 15 giugno h.16.30-20.00

domenica 16 giugno ore 10.00-13.30

Sala Hde, piazza Nilo 7, Napoli

Con voce di sirena

Marie Christine Laznik

Il dramma dell’autismo restituito attraverso gli interventi – per la prima volta pubblicati in italiano – che una grande psicanalista dell’infanzia ha tenuto in occasione di convegni specialistici su questa oscura patologia. In un linguaggio piano e semplice, accessibile a tutti, l’autrice ricostruisce alcuni casi clinici di lattanti e bambini nella primissima infanzia scivolati o a rischio di sprofondare nell’autismo e da lei ripresi grazie a una clinica audace e innovativa nella quale la voce
gioca un’importanza fondamentale. È infatti avvalendosi dei risultati delle ultime ricerche di neurocognitivisti e psicolinguisti sul maternese (la lingua particolarissima che tutte le madri usano per rivolgersi ai propri figli) che Marie-Christine Laznik riesce a catturare l’attenzione di bambini il cui sviluppo cerebrale non permette loro di riconoscere la voce e il volto della madre ma che, grazie a lei, non possono fare a meno di portare il proprio sguardo sui genitori, senza più distoglierlo.
Da molti anni attivamente impegnata nella prevenzione dei disturbi pervasivi dello sviluppo, Marie-Christine Laznik ci insegna che è possibile individuare (molto prima di quanto altri test cognitivi permettano) segnali di evoluzione autistica in bimbi sotto i due anni di età, il più evidente dei quali è l’incapaci-
tà dei bebè di provocare il godimento della persona che li accudisce: i futuri autistici non sono bimbetti che amino porgere autonoma-
mente il piedino o la manina alla madre perché li mangi o li riempia di baci. Grazie a questa semplice (ma fondamentale) scoperta, ottenuta mettendo al lavoro le
acquisizioni delle neuroscienze con gli strumenti offerti dalla teoria psicanalitica, Laznik riesce a intervenire in un’età di plasticità cerebrale sino a ottenere, nei casi più fortunati, la completa remissione dei sintomi in piccoli pazienti presi in cura molto precocemente (15 mesi).
Dalle pagine dei suoi resoconti emergono storie cliniche che sono in primo luogo storie di vita: di dolore e di sofferenza dei bambini e, accanto ad essi, dei loro genitori che, davanti al fallimento dei propri tentativi di attirare l’attenzione dei figli, affondano – come loro – in un mare di silenziosa disperazione. Una clinica “umanamente dura” quella di Laznik, in cui la psicanalista non ci nasconde di soffrire insieme ai suoi pazienti e di prova- re per loro paura, ma in cui gli affetti servono a umanizzare e a sostenere l’inventività della cura, non a turbarla.

 

 

 

ven. 14 – dom.16 ottobre – Parigi giornate di studio su: Condizioni, poste in gioco e attualità della questione del transfert nelle psicosi.

Responsabili delle giornate : Etienne Oldenhove, Louis Sciara                              
sede: Paris Espace Reuilly, 21 rue Hénard – 75012 (France)
venerdì 14 ottobre dalle 20.00 alle 22.00
sabato 15 e domenica 16 ottobre dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 17.30

Queste giornate mirano a tentare di testimoniare il lavoro che facciamo da tempo coi nostri pazienti psicotici, avvertiti – almeno lo speriamo – dalla nostra formazione di psicanalisti.

Freud non era ottimista circa le possibilità terapeutiche della psicoanalisi con i pazienti psicotici, poiché sosteneva l’assenza di transfert a causa di un ritiro narcisistico che ostacola qualsiasi investimento d’oggetto. È anche vero che aveva poca esperienza personale in questo campo.

La pratica con questi pazienti ci insegna che non è così. Vi è anche molto spesso troppa consistenza nel dispiegamento di questo transfert, che obbedisce ad una logica fondamentalmente eterogenea a quella delle nevrosi (nessun soggetto supposto sapere, una certa automaticità linguistica, un’esclusione dal luogo dell’Altro, un’assenza di disparità dei posti …) che mette il medico in dovere di raccapezzarsi. Leggi il resto di questo articolo »

Ch. Melman – Le strutture lacaniane delle psicosi parte 1

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Ch. Melman – Le strutture Lacaniane delle psicosi parte 2

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Enrico Miccoli – Capacità d’intendere e di volere

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Mariella Galvagno – La «presentazione dei malati» nella pratica psichiatrico-psicoanalitica a Parigi

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Patrizia Piunti – Sul problema della schizofrenia

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venerdì 27 maggio h. 18.30, sabato 28 maggio h.10 – Napoli

Christian Fierens

psichiatra, psicanalista, membro di Questionnement Psychanalytique

interverrà  su Il senso della questione preliminare e la psicosi nell’Etourdit nell’ambito delle attività seminariali dell’Associazione Lacaniana di Napoli, che quest’anno ha lavorato sul grafo del desiderio e la metafora paterna nel V seminario di J. Lacan Le formazioni dell’inconscio.

L’incontro si svolgerà nella sala Hde, piazza Nilo 7 – Napoli

Quota di partecipazione euro 50, studenti 30 euro


Agenda
Conferenza di Jean Paul Hiltenbrand – “La depressione o il dolore morale”

sabato 29 aprile 2023 ore 9,15 Associazione Lacaniana Internazionale sede di Torino Associazione … [leggi...]

INCONTRO ALI IN LIBRERIA – “Tutte storie di maschi bianchi morti …” di Alice Borgna

24 Febbraio 2023 - dalle ore 18.00 alle ore 19.30 presso la Libreria Libra (Torino) Presentazione del … [leggi...]

INCONTRI ALI IN LIBRERIA 2023

Ci incontriamo di nuovo in libreria a parlare di psicoanalisi, attraverso la recensione di libri di recente … [leggi...]

Leggere il Seminario di Jacques Lacan – ANCORA

Da lunedì 9 gennaio 2023 avrà inizio un ciclo di letture attorno al Seminario di Jacques Lacan Ancora … [leggi...]

Il Tratto del caso

"Come mai non avvertiamo tutti che le parole da cui dipendiamo ci sono in qualche modo imposte?" Ali … [leggi...]

Seminario d’estate 2022 – L’ANGOSCIA

24, 25 e 26 Agosto 202224, 25 et 26 août 2022 Teatro Ghione / Théâtre Ghione Via delle Fornaci 37, … [leggi...]

ANGOSCE DELLA CLINICA O CLINICA DELL’ANGOSCIA – ANGOISSES DE LA CLINIQUE OU CLINIQUE DE L’ANGOISSE

"Tra l'angoscia e la paura, vi consiglio l'angoscia" - "Vous avez le choix entre l'angoisse et la peur, … [leggi...]

L’identificazione

A s s o c i a t i o n e L a c a n i a n a I n t e r n a z i o n a l e ALI in Italia Primo … [leggi...]

Sul limite e sul suo oltrepassamento nella psicosi e nella perversione

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La donna non esiste (uno studio sulla sessualità femminile)

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