Mariella Galvagno – La «presentazione dei malati» nella pratica psichiatrico-psicoanalitica a Parigi

Articolo di Mariella Galvagno già apparso in  formazionepsichiatrica.it e qui in parte modificato.

Un aspetto che costituisce un momento essenziale dell’insegnamento della scuola lacaniana, di cui riferisco qui brevemente, è costituito dalla cosiddetta “presentazione dei malati” nelle strutture che li accolgono e ne hanno cura.
«A Parigi la presentazione dei malati – cito da una proposta della Scuola di Ville-Evrard per un ciclo di formazione alla clinica psicoanalitica in psichiatria per il 2009-2010:

è stata […] al principio stesso della formazione, già dalla metà del XIX secolo, di generazioni successive di psichiatri e d’infermieri, poi più tardi di psicologi e di psicoanalisti, ma anche degli assistenti sociali, in breve, di tutti coloro la cui funzione destinava a curare all’ospedale, come pure ad accompagnare fuori dall’ospedale i malati mentali. Come perdere di vista che l’essenziale del sapere clinico ordinario che ciascuno invoca, i nomi delle patologie, i loro segni, le loro possibilità o i loro rischi, è stato elaborato insieme, attorno a pazienti giudicati particolarmente interessanti, dopo esame pubblico, in una dialettica con coloro che vi avevano silenziosamente assistito, e che giudicavano non solo il paziente ma anche l’esaminatore, e le condizioni nelle quali i sintomi erano stati messi in evidenza e articolati ? Di tutto questo si conserva traccia nella letteratura scientifica: è l’essenza stessa della clinica» [i]
.

Nella psichiatria francese la presentazione dei malati è così forte e produttiva d’insegnamento che, per quante critiche e timori abbia suscitato, essa resta tuttavia saldamente radicata nella tradizione e nella prassi degli ospedali e delle strutture psichiatriche esistenti diffuse nel territorio. 
A titolo informativo e tenendo conto soltanto dell’insegnamento impartito sotto l’egida dell’Association Lacanienne Internationale (A.L.I.), per il 2008-2009 gli iscritti hanno virtualmente goduto della possibilità di frequentare ben sei strutture medico-psichiatriche ove si svolge regolarmente una presentazione di malati [ii].

Ma in realtà, per rendersi conto dell’ampiezza, della consistenza e del peso che la pratica della presentazione dei malati ha nella tradizione psichiatrica francese e nella formazione di psichiatri, psicoanalisti, psicologi, infermieri e assistenti sociali basta dare un’occhiata alle 35 pagine di una bibliografia che raccoglie la letteratura scientifica sul tema, pubblicata dalla rivista Essaim [iii]. Quel che salta subito all’occhio è che la maggior parte dei riferimenti riguarda le presentazioni di Jacques Lacan, e che la maggior parte degli altri autori citati sono direttamente o indirettamente allievi di Lacan: l’impronta di questo grande della psichiatria e della psicoanalisi sul modo di esercitare questa pratica, ben anteriore all’emergere del suo insegnamento, è stata decisiva. In che modo?

Per rispondere farò riferimento soprattutto alla mia diretta esperienza di presenza (assistance) alla presentazione dei malati presso tre diverse strutture ospedaliere, due volte al mese all’Ospedale Henri Ey, una volta la settimana alla Clinica Rémy de Gourmont e presso l’Ospedale di Gonesse. 
Prioritaria è la descrizione del dispositivo.

Esso è costituito da una “messa in scena” in cui il malato, accompagnato dal suo medico-psichiatra curante e/o da infermieri, o dallo stesso clinico che lo presenterà, verrà invitato a sedere accanto a lui, mentre un pubblico silenzioso disposto di fronte a loro o, a seconda delle sale, in cerchio attorno al tavolo cui siedono gli altri due attori, assiste al colloquio-interrogatorio che si svolge, nell’arco di un’ora circa, ma anche più, fra medico e paziente. Il malato è per lo più uno psicotico, ma non sempre, possono presentarsi delle isteriche, dei depressi, che vengono ricoverati per diversi motivi, per es. per tentato suicidio, su richiesta sovente dei familiari. Il pubblico è costituito oltre che dallo stesso psichiatra che ha in cura il malato (quando egli stesso non è il presentatore), dagli infermieri, da altri psichiatri, psicologi, assistenti sociali e psicoanalisti interessati alla presentazione. Tutti, comunque, interessati al discorso psicoanalitico e per la maggior parte, anzi, impegnati nella pratica psicoanalitica. Si tratta di un pubblico ammesso previa domanda, che per lo più segue con costanza e per parecchi anni queste presentazioni. L’ora successiva alla dipartita del paziente è dedicata alle spiegazioni e chiarificazioni concernenti soprattutto i problemi posti dalla diagnosi del caso e da un eventuale scambio di pareri fra l’assistance e il presentatore.
Alla Clinica Rémy de Gourmont Jean-Marc Berthomé, psichiatra psicoanalista, alterna settimanalmente la presentazione di malati che spesso sono suoi stessi pazienti con un seminario sulla mania-melanconia il mercoledì successivo, mentre a Gonesse Bernard Vandermersch, anch’egli psichiatra psicoanalista, presenta pazienti che ha conosciuto solo poco prima di entrare nella sala e che quindi si farà un’idea della problematica del soggetto in base al colloquio che vi si svolgerà [iv]. All’Hôpital Ey si alternano nella presentazione due psicoanalisti non psichiatri [v], Stéphane Thibierge e Hubert de Novion, i quali interrogano un ricoverato che non conoscono e che è loro affidato dallo psichiatra responsabile del settore, Michel Daudin, anch’egli psicoanalista e che partecipa a tutte le presentazioni e successive “riprese”. Qui, infatti, come pure a Gonesse, l’organizzazione dell’insegnamento prevede che la volta successiva alla presentazione uno dei partecipanti, cioè di coloro che hanno assistito al colloquio, riprenda il caso per presentarlo a tutti gli altri secondo l’idea che se ne è fatta a partire dalla lettura dei suoi stessi appunti e, per le presentazioni all’Hôpital Ey, a partire anche dal resoconto stenografico che nel frattempo avrà ricevuto da parte della segretaria del settore. In questo modo tutti quelli che assistono sono stimolati ad una elaborazione, quasi sempre scritta, che non può che rispondere alla loro stessa domanda di sapere e di insegnamento. Chiunque, fra il pubblico, può proporsi per questo lavoro: già qui si vede bene come l’insegnamento sia uno dei punti capitali della presentazione, esso tuttavia non è il solo.
La differenza fra la presentazione che avviene alla Clinica Rémy de Gourmont da parte di J.-M. Berthomé e quelle effettuate all’Ospedale Henry Ey e all’Ospedale di Gonesse è che nel primo caso il paziente invitato al colloquio può anche essere un paziente stesso dello psichiatra presentatore, che questi già conosce bene; negli altri due casi invece chi presenta non conosce o non conosce bene il ricoverato. Inoltre, nel primo caso non c’è “ripresa”, gli assistenti possono però proporsi per presentare al seminario sulla mania-melanconia un loro lavoro, una loro elaborazione, attinenti alla tematica del seminario e quindi indirettamente anche ai pazienti presentati. C’è da dire anche che alla Clinica de Gourmont la presentazione si svolge nell’ambito di un seminario all’interno del quale essa è eticamente giustificata, fra l’altro, dalla ricerca che questo seminario persegue circa la struttura della mania e della melanconia: avanzare su quanto sinora ricevuto, elaborare una nuova, più adeguata nozione di soggettività, tenendo conto di tutti gli apporti pertinenti, non solo di quello lacaniano, in una tensione di superamento del trito e ritrito, come d’altronde lo stesso Lacan auspicava per il divenire della psicoanalisi.

A questo punto è opportuno ritornare alla questione posta più sopra: in che modo la presentazione dei malati da parte di Lacan ha influenzato, anzi cambiato radicalmente il successivo esercizio di questa pratica senza che il suo insegnamento clinico si separi dalla clinica psichiatrica classica? [vi]
Lacan praticò la presentazione fin dall’inizio della sua carriera in ospedale; assistette a quelle di Georges Dumas a Sainte-Anne dal 1920 al 1930 e a quelle di Gaëtan Gatian de Clérambault nell’infermeria psichiatrica [vii] della Prefettura di polizia di Parigi, infermeria speciale per gli alienati, dove erano portati d’urgenza i soggetti pericolosi, e poi assicurò, a partire dagli anni Sessanta, una presentazione settimanale a Sainte-Anne nel reparto Henri-Rousselle grazie a Georges Daumézon [viii]. Nella lezione del 5 maggio 1965 del seminario sui Problemi cruciali per la psicoanalisi [ix], Lacan afferma: 

«… lo psicoanalista […] introducendosi come soggetto supposto sapere, è lui stesso, riceve lui stesso, sopporta lui stesso lo statuto del sintomo. Un soggetto è psicoanalista, e non sapiente protetto dietro categorie in mezzo alle quali cerca di sbrogliarsela facendo dei cassetti nei quali classificherà i sintomi che registra del suo paziente, psicotico, nevrotico o altro, nella misura in cui capisce il gioco significante. Ed è in questo che un esame clinico, una presentazione di malato non può assolutamente essere la stessa dopo la psicoanalisi o prima della psicoanalisi.
Prima, quale che sia il genio che vi abbia messo il clinico – dio lo sa, ho potuto recentemente rinfrescare la mia ammirazione per lo stile affascinante di un Kraepelin quando egli descrive le sue diverse forme di paranoia – la distinzione è radicale riguardo a ciò che, almeno in teoria, in potenza, è esigibile dal rapporto del clinico con il malato, non fosse che sul piano della prima presentazione. Se il clinico, il medico che si presenta non sa che egli stesso porta per una buona metà il carico del sintomo […], che non c’è presentazione di malato, ma dialogo fra due persone e che, senza questa seconda persona, non ci sarebbe tutto il sintomo, egli è condannato, com’è il caso per la maggior parte, a lasciare stagnare la clinica psichiatrica sulla via da cui la dottrina freudiana avrebbe dovuto tirarla fuori»[x].

Freud, da parte sua, assistette alle presentazioni che Charcot faceva alla Salpêtrière, ma non esercitò mai questa pratica che non doveva amare, benché avesse apprezzato così tanto l’insegnamento di Charcot da tradurre e pubblicare in tedesco le Lezioni del martedì di Charcot [xi].D’altronde, sia il quadro raffigurante una lezione di Charcot alla Salpêtrière che troneggia sopra il famoso divano, sia la Prefazione alla traduzione suddetta, sia le lettere alla fidanzata Martha Bernays testimoniano un’esplicita e autentica ammirazione per quello che egli chiama il Maestro [xii]. Ciò non gli impedisce di manifestare la sua ripugnanza nei confronti della suggestione, come si evince da una delle note che egli si prese la libertà di inserire a piè di pagina del testo tradotto [xiii].
L’evocazione di questo quadro tuttavia fornisce l’occasione per riferire adesso qual è la critica importante che viene sollevata nei confronti di una pratica che certo non è più quella dei tempi di Charcot.

Il dispositivo della presentazione dei malati classica viene definito «realmente perverso. Perché? Perché presuppone l’apatia di un pubblico terzo che è nella posizione di voyeur. C’è il presentatore che è lo strumento di ciò che mostra da godere. Il pubblico è lì perché il paziente goda. ….» [xiv].

Cosa giustifica allora eticamente che la presentazione continui nella forma che apparentemente è rimasta la stessa anche presso coloro che la criticano? 
Il fatto è che con la clinica lacaniana delle psicosi tutto è in realtà cambiato, come può già dare un’idea il passo su citato della lezione del 5 maggio 1965. La presentazione classica era fondata sulla relazione a due (presentatore e paziente) e sullo sguardo (il paziente incarnava l’oggetto della domanda dei medici di vedere, di sapere). «Là dove Charcot faceva appello allo sguardo e non esitava a provocare le manifestazioni isteriche per illustrare un caso clinico, assicurare il suo insegnamento e fondare una diagnosi, Lacan centrava il dispositivo sulla parola del soggetto» e «agiva in modo che fosse lui, il paziente, al posto dell’insegnante» [xv].Il paziente non è l’oggetto necessario per un insegnamento, una cavia o colui che permette, grazie ad una problematica così difficile da sottrarsi ad ogni comprensione, di discutere una diagnosi per meglio orientarsi. Quando ad un paziente viene proposta l’esperienza della presentazione, «la domanda è quella del reparto, che si aspetta qualche cosa e non la sua, almeno inizialmente. Ma se il soggetto accetta, egli s’impegna, egli impegna qualcosa del suo desiderio che va oltre la domanda di un altro. Non dimentichiamolo. È già un soggetto» [xvi].
J.-M. Arzur, citando uno scritto di Claude Léger,Éloge de la présentation de malade, fa suo quanto quest’ultimo dice con riferimento al contesto degli anni ’70: 

«se i militanti anti-presentazione fossero entrati, al modo di un Act up, nella sala dove si tenevano le nostre presentazioni […] essi sarebbero stati sorpresi di scoprire due persone nell’atto di discorrere spesso tranquillamente di fronte ad un uditorio attento, e sarebbero stati loro ad apparire allora degli intrusi … » e « … la presenza di un pubblico durante il colloquio non soltanto non costituisce un ostacolo ma può essere anzi considerata come elemento essenziale del dispositivo» [xvii].

Il pubblico, che non è un pubblico qualunque, è testimone, il malato si rivolge indirettamente anche ad esso, a volte pure direttamente, e qualcosa di nuovo può emergere a suo beneficio. 
Quando, durante le presentazioni alle quali ho assistito qualche paziente ha chiesto chi fossero le persone presenti, il clinico ha risposto ricalcando col suo stile proprio quella che una volta era stata la risposta di Lacan: «Sono delle persone scelte, che s’interessano a ciò che le capita». Questa risposta 

introduce la nozione d’interesse, cioè di un ascolto che è nell’attesa di un sapere. Non si tratta di un pubblico che sa in anticipo, ma di un pubblico che viene per apprendere qualcosa dal paziente. 
La presentazione di malati è dunque l’occasione data a un paziente che ha vissuto un’esperienza ineffabile di trasmetterne un sapere ad altri che vi si interessano. Questa trascrizione ha già, in sé, un carattere terapeutico perché essa restaura un legame là dove un’esperienza inaugurale aveva isolato il soggetto dai suoi congeneri [xviii].

A questo proposito importa notare che J.-M. Berthomé spiega gli effetti di soggettivazione che si possono produrre nell’ambito di una presentazione – «si è notato moltissime volte che delle persone sono state veramente molto meglio, come se ciò fosse legato al fatto che esse si fossero ritrovate in quello che dicevano altrimenti da come ci si può ritrovare in analisi, nell’ambito stretto della psicoanalisi» [xix] – in un modo che è in via di elaborazione e di cui in questa sede non posso dar conto. Posso indicare soltanto per dare un’idea il modo in cui egli presenta il problema: 
«
… la grande questione che si pone sia a degli psichiatri che a degli psicoanalisti è di sapere in che cosa ciò che descrivo come quadro (tableau) maniaco-melanconico è diverso da un quadro psichiatrico classico, chiamato da 150 anni «follia circolare»; in che cosa ciò che descrivo come quadro è diverso da un quadro psichiatrico classico che prenderebbe in considerazione certi elementi di psicopatologia. È una questione psicoanalitica, è dunque una questione indirizzata a delle orecchie psicoanalitiche, ma anche rivolta all’analista che io sono, cioè fino a che punto io resto analista quando faccio un quadro. Per formulare la questione altrimenti: in che cosa la presentazione di un tableau – e, a fortiori, in occasione di una presentazione di malati – riguarda la psicoanalisi in quanto essa ha a che fare col soggetto dell’inconscio? L’argomento secondo il quale sono dei soggetti che si presentano così è un argomento sufficiente? […] Quando si parla di soggetti (è sempre il problema nel lacanismo), siamo sicuri di non ricondurre la vecchia nozione metafisica dietro la nozione di soggetto dell’inconscio?» [xx].

Mi limiterò, in questa sede, a riassumere la conclusione in due punti.
Il primo concerne lo scopo della presentazione dei malati, scopo che, come si è visto, anche se essenzialmente concerne l’insegnamento, non esclude la possibilità di un beneficio per il malato, il quale potrebbe, all’uscita dalla presentazione, situarsi in modo diverso rispetto al suo stesso discorso, in ragione di quel che è stato detto durante il colloquio.
A questo bisogna aggiungere anche la possibilità che attraverso la discussione, a partire dal “sapere” apportato dal paziente, lo psichiatra ospedaliero che ha proposto la presentazione possa ottenere più lumi circa una diagnosi difficile ed eventualmente imprimere una diversa direzione al trattamento. 
Si potrebbe allora forse sostenere che l’insegnamento, la discussione e i chiarimenti sulla diagnosi e dunque sul trattamento più opportuno, l’eventuale beneficio per il malato, s’intrecciano in una dialettica nella quale i tre attori, il paziente (colui che “sa”), il presentatore e il pubblico scelto (testimone) esercitano una nuova pratica (pratica sociale in senso lato): la clinica lacaniana dei disturbi mentali.
Col secondo punto vorrei solo mostrare quanto, attraverso un singolare intreccio, la psicoanalisi deve, grazie a Lacan, alla psichiatria, anche se è l’ingresso di Lacan nel campo della psicoanalisi che ha reso possibile il mutamento da cui è nata la clinica psicoanalitica in psichiatria. Mi avvarrò per questo della citazione di un brano dell’intervista a Marcel Czermak di cui ho fatto già menzione, in cui il clinico risponde in modo lapidario ma estremamente incisivo a due questioni:

«H.N. : Lacan è arrivato alla psicoanalisi attraverso la paranoia, ma ci si accorge, alla lettura della sua tesi, che egli aveva già elaborato prima del suo incontro con la psicoanalisi una parte della sua teorizzazione.

M.C. : Si, nello stesso tempo egli aveva superato molte impasses della psichiatria […] dopo il caso Aimée [xxi] il suo metodo è rimasto lo stesso: come comincia, i momenti d’inversione, di cristallizzazione, di smorzamento … Io continuo a pensare che sul piano metodologico la sua tesi resta uno strumento formidabile, e che si entra più facilmente nella psicosi attraverso questa tesi che attraverso i manuali posteriori.

E.T. : Quali sono le incidenze sulla teoria analitica per il fatto di essere affrontata a partire dalla psicosi?

M.C. : Poiché la psicosi sfugge alla psicologia spontanea, questo rompe ogni connivenza fra il paziente e il suo terapeuta, e di conseguenza fra terapeuti. La tendenza è di volere trovare del senso, del significato, ora tutto questo è regolarmente battuto in breccia dalla psicosi. Questo spinge molto lontano l’interrogativo su ciò che parlare vuol dire. Un nevrotico, lo si può prendere senza interrogarsi mai su questa questione: si ha l’impressione di sapere di che cosa si parla. Ora, la psicosi, è il livello zero della comprensione, salvo a introdurvi le nostre stupidaggini abituali. Lacan stesso diceva: Io non sono un tipo che capisce molto, lì dove tutti capiscono, io non capisco»[xxii].

 

note

[i] Questa, come tutte le successive traduzioni dal francese sono mie.
Il grande ospedale di Ville-Evrard (Neuilly-sur-Marne) nell’ambito del quale opera la Scuola di Ville-Evrard, è specializzato nella salute mentale. Gli autori della proposta sono gli psichiatri A. Bellet, P.-H. Castel, J.-L. Ferretto, X. Lallart, J.-J. Tysler.

[ii] Nel celebre Ospedale Sainte-Anne (celebre per la sua storia, della quale fa parte anche la presentazione dei malati effettuata da Jaques Lacan nella Salle Magnan, dove essa continuerà successivamente con Charles Melman et Marcel Czermak) e nell’ambito della Scuola Psicoanalitica di Sainte-Anne si riprendono dei casi non presentati in pubblico. Del lavoro che vi si svolge una testimonianza è data nel volume di Marcel CZERMAK et Cyril VEKEN (sous la direction de), Les jardins de l’asile, Questions de clinique usitée et inusitée, A.L.I., Paris, 2006.

[iii] Francine HUMBERT, Présentation de malades : une bibliographie, Essaim n° 12, 2004/1, pp. 197-232. Testo disponibile on line.

[iv] Cfr. Bernard VANDERMERSCH, Une année à l’hôpital, Enseignement de clinique lacanienne, collection Les jardins de l’asile, A.L.I., Paris, 2009.

[v] La formazione psicoanalitica non è riservata, secondo l’auspicio di Freud, solo ai medici, ma a tutti quelli che hanno compiuto studi superiori in qualunque disciplina. Nell’ambito delle associazioni lacaniane si trovano dunque letterati, linguisti, filologi, archeologi, etnologi, giuristi, teologi, matematici, filosofi, sociologi, educatori, criminologi, medici ed altri specialisti ancora, e non soltanto psicologi, psicologi clinici, psichiatri, neuropsichiatri, i quali naturalmente vi figurano in maggior numero. Lo scritto di Sigmund FREUD, Il problema dell’analisi condotta da non medici. Conversazione con un interlocutore imparziale(1926), in Opere di Sigmund Freud (d’ora in poi OSF), Boringhieri, Torino, vol. 10, 1990, pp. 347-423, in difesa della psicoanalisi profana risale al 1926 e da allora molta acqua è passata sotto i ponti. In ogni caso, posto che non si diventa psicoanalisti «che per gli effetti del transfert che si elabora sul divano» e che «parafrasando Lacan, si può dire che è la lettura che fa ciascuno delle formazioni del suo inconscio che lo forma come psicoanalista», la formazione psicoanalitica è necessaria. Essa prevede oltre allo studio dei testi fondamentali della psicoanalisi e specialmente quelli di Freud e di Lacan, lo studio delle discipline la cui evoluzione può riguardare la psicoanalisi, come la linguistica, la stilistica, l’etnologia, la matematica, la storia delle scienze, la filosofia, solo per citare le più importanti. Per sottolineare la necessità dell’insegnamento comunque non c’è formulazione più sintetica di quella di Charles Melman: Lacan è stato «il solo ad avere dimostrato che la conoscenza non è efficace che a condizione di articolarsi col reale stesso con cui si organizza presso un soggetto il suo sapere. Ma, se questo punto si verifica nella cura, questa non lo insegna. Da qui la necessità di insegnarlo» (citazioni dal libretto degli insegnamenti dell’A.L.I.).

[vi] Cfr. Valentin NUSINOVICI, À propos du livre de Bernard Vandermersch, Une année à l’hôpital. Enseignement de clinique lacanienne, recensione sul sito dell’A.L.I.

[vii] Jean-Michel ARZUR,La présentation de malades, mise en scène d’un drame, 27 mai 2000 – Forums du Champ Lacanien – Collège Clinique de l’Ouest, testo disponibile on line.

[viii] M. CZERMAK, Quelques remarques sur la présence de Lacan à Henri-Rousselle et ses conséquences, entretien avec H. de Novion e E. Tellermann, in La célibataire, N° 4, 2000, p.30.

[ix] Evocata da J.-M. ARZUR, La présentation de malades, mise en scène d’un drame, cit.

[x] Jacques LACAN, Lezione del 5 maggio 1965 del Seminario “Problèmes cruciaux pour la psychanalyse”, 1964-1965, inedito.

[xi] Queste lezioni – Jean-Martin CHARCOT, Leçons du mardi de la Salpêtrière, 1887-88, Paris, 1888 – sono reperibili presso la biblioteca dell’ALI, e presso la biblioteca dell’École de la Cause Freudienne in una edizione del C.E.P.L. (Centre d’Etude et de Promotion de la lecture) del 1974.

[xii] S. FREUD, Prefazione alla traduzione delle “Lezioni del martedì della Salpêtrière” di J.-M Charcot (1892), OSF, I, cit., 1989, pp. 151-154. In una delle lettere alla fidanzata si può leggere: «Charcot, uno dei più grandi medici, un uomo dal geniale equilibrio, sconvolge semplicemente tutte le mie idee e i miei piani. Dopo certe lezioni esco da lui come da Notre-Dame, con nuovi sentimenti di ciò che è perfetto. […] Non so se la semenza fruttificherà; ma so con certezza che nessun altro uomo ha mai esercitato su di me un influsso simile.» (p. 163); in un’altra: «M.lle Jeanne Charcot è un po’ diversa, anche lei piccola, un po’ tonda e somigliante in modo quasi ridicolo al geniale padre, ma per questo è così interessante che non si riesce a riflettere se sia carina. […] Immagina per un momento, che io non sia già innamorato di un’altra e che sia un vero avventuriero: sarebbe una forte tentazione, perché niente è più pericoloso di una giovanetta che ha i lineamenti dell’uomo che si ammira.» (S. FREUD, Lettere alla fidanzata, Boringhieri, Torino, 1963, p. 163; pp. 173-174).

[xiii] A proposito infatti di ciò che Charcot dice circa i consigli tecnici sull’uso della suggestione, Freud commenta: «Con queste belle parole Charcot rivela uno dei più gravi abusi con cui deve fare i conti l’impiego pratico della suggestione nelle condizioni di veglia e lieve ipnosi. Né il medico né il paziente sopportano alla lunga il contrasto tra la suggestione, che nega decisamente la malattia, e la necessità invece di riconoscerla al di fuori della suggestione». Cfr. S. FREUD, Estratti dalle note alla traduzione delle “Lezioni del martedì della Salpêtrière” di J.-M. Charcot (1892-94), OSF, cit., I, p. 158.

[xiv] Jean-Marc BERTHOMÉ, Seminario del 4 marzo 2009, inedito.

[xv] J.-M. ARZUR, La présentation de malades, cit. supra.

[xvi] Ibid.

[xvii] Ibid.

[xviii] Bernard NOMINÉ, “Ne pas reculer devant la psychose”, Les présentations de malades du Docteur Lacan (sul sito dell’EPFCL (Ecole de Psychanalyse des Forums du Champ Lacanien).

[xix]J.-M. BERTHOMÉ, Seminario del 4 marzo 2009, cit.

[xx] Ivi.

[xxi] Si fa riferimento alla tesi di Dottorato in Medicina di J. Lacan, pubblicata la prima volta nel 1932. Cfr. J. LACAN, De la psychose paranoïaque dans ses rapports avec la personnalité, Seuil, Paris, 1975, trad. it. a cura di G.B. Contri, Della psicosi paranoica nei suoi rapporti con la personalità, Einaudi, Torino, 1980.

[xxii] M. CZERMAK, Quelques remarques sur la présence de Lacan à Henri-Rousselle, cit., p. 31.

 

 

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