Alessandro Bertoloni – RSI: le osservazioni preliminari della seconda lezione

Innanzitutto, una mia questione preliminare a proposito del rapporto tra i primi seminari di Lacan e quelli più recenti (più avanzati?): a Milano è in corso da tempo una lettura completa dei seminari a partire dagli Scritti tecnici: Le psicosi e La relazione d’oggetto saranno terminati quest’anno per ripartire da Le formazioni dell’inconscio e Il desiderio e la sua interpretazione.
La questione che pongo è di due ordini: innanzitutto quello dell’excusatio che consegue all’enorme difficoltà trovata nei confronti di questo testo di RSI (e già di Les non-dupes errent); mi riferisco al fatto che la mia lettura porta con sé più lacune, domande, e vuoti che capacità di proporre piste di lettura e comprensione. Il secondo ordine è invece quello della invocatio nei confronti di chi ha una frequentazione più lunga dei seminari e degli scritti di Lacan e riguarda la possibilità e l’eventuale utilità di far emergere proprio il rapporto tra la riflessione di Lacan “degli inizi” e quella più avanzata: metto le virgolette a “inizi” perché so bene che Lacan non procede (solo) in avanti nel suo cammino di ritorno a Freud (il che farebbe pensare più a un andare indietro) ma avanza ritornando spesso sui suoi passi con sviluppi, riprese, cambiamenti di prospettiva. Non intendo fomentare un interesse storicistico o di studio degli sviluppi di una wirkungsgeschichte interna lacaniana, ma di poter cogliere il più possibile la ricchezza della riflessione clinica di Lacan in questi movimenti (più in senso musicale che in quello di un progresso del pensiero).

La seconda lezione parte – come accade spessissimo nei seminari – con una ripresa di quella precedente e con l’affermazione che non c’è altra idea sensibile del reale se non quella della scrittura del nodo, e il nodo non è fatto che da questo: ciascuno dei suoi elementi è annodato, tenuto, da un terzo, tramite un terzo.
Lacan svela la natura “spontanea” di questa lezione, nella quale tralascia il materiale preparato e preferisce mettere in rilievo osservazioni, questioni che suppone possono essere emerse dopo la lezione precedente, quella inaugurale. E, guarda caso, le osservazioni che intende fare sono tre.

La prima osservazione, sulla natura del nodo.
Disegnando il nodo alla lavagna, Lacan dice che esso è definito, non ambiguo, quando R attraversa S e I stando sotto a I che è sotto S, e stando sopra a S che è sopra I. Denunciando il fatto che è indifferente, ai fini della natura dell’annodamento, che il nodo sia destrogiro o levogiro, ciò che conferisce la definizione, la non ambiguità al nodo è il modo di R di attraversare gli altri due registri, in un certo senso “rispettandone” o “riproducendone” le rispettive posizioni.
Mi chiedo (e chiedo affettivamente, non in senso retorico) quali sono le implicazioni di questa osservazione di Lacan sulla non ambiguità, sulla definizione del nodo: sia a riguardo del rapporto di posizioni in relazione all’attraversamento del Reale, sia a proposito dell’uso del nodo nell’analisi, poiché, forse, quel che incontriamo normalmente sono annodamenti ambigui, non definiti.
Specificando ulteriormente la natura del nodo, Lacan passa a distinguerlo nettamente dal modello matematico («Ho la pretesa di ripudiare per questo nodo la definizione di modello»): il modello matematico è un modello costruito utilizzando il linguaggio e la strumentazione della matematica e il suo scopo è di rappresentare un oggetto o un fenomeno reale; l’utilizzo è spesso previsionale e il funzionamento è quello del metodo scientifico di ipotesi-verificabilità-modifica dell’ipotesi. Il modello matematico si situa nell’Immaginario e le questioni che vi si formulano sono poste «in seconda battuta» al Reale: «Non c’è immaginario che non supponga una sostanza. È un fatto strano, ma è sempre nell’immaginario, a partire dallo spirito che fa sostanza a questo modello, che le quesitoni che vi si formulano sono, in seconda battuta, poste al Reale».
Il nodo non è un modello perché fa eccezione proprio su questo livello di supposizione, che sta alla base della seconda istanza: anche se si situa anch’esso nell’Immaginario, Lacan propone che R S I funzionino come pura consistenza, cioè consistono solo tenendo tra loro (non c’è seconda istanza…).
Questo implica la metafora. Lacan dice, ovviamente dal Simbolico, che il supporto della tenuta dei tre è il Reale e ciò è possibile (dirlo) «perché uso lo scartamento di senso che è permesso tra R.S.I. come individualizzante questi tre anelli, specificandoli come tali».
A parte il fatto di essere rimandati a L’istanza della lettera, qual è qui il senso dello scartamento di senso della metafora? È il fatto che solo per via metaforica si può dire che la consistenza dei tre anelli si supporta dal Reale? È il fatto che solo per via di metafora Lacan può dare una importanza “maggiore” al Reale che tiene insieme gli altri due anelli secondo la modalità di posizione di ciascuno? O c’è dell’altro che è implicato?

La seconda osservazione, sull’uso conveniente del nodo.
«Per operare con questo nodo in maniera conveniente, bisogna che vi basiate su un po’ di stupidità (bêtise)» anzi, meglio ancora, il nodo è da maneggiare essendone dupe.
Per spiegarci il senso di questa espressione, anzi, dopo il seminario dell’anno precedente, sarebbe meglio dire per non spiegarci il senso, per rendere correttamente non sensate, non capite le istruzioni per l’uso del nodo, quindi per non errare nei meravigliosi e interminabili sentieri della ricerca di senso, Lacan utilizza un esempio che costituisce una lunga e sembra anche compiaciuta digressione a proposito di Maupertuis e sul fatto che egli abbia immaginato troppo e immaginato male – a proposito della determinazione a livello cellulare della differenziazione sessuale – perché non è stato dupe, cioè, ed è questa la “traduzione” che offre di dupe, perché non si è attenuto a ciò che gli si presentava, ma ha fatto delle ipotesi (e Lacan cita Newton: hypotheses non fingo).
Il ripudio delle ipotesi è il consiglio di Lacan, il non farsi domande.
Un po’ a motivo del fatto che anche nell’argomento di questa giornata possiamo leggere «contiamo di intravedere […] le conseguenze che il nodo RSI comporta per la nostra pratica», un po’ per tutto quel che ho sentito nell’ultimo anno a proposito del nodo, un po’ perché mi risulta difficilmente evitabile, ho subito sbagliato e mi sono chiesto che farne di questo consiglio. Certo un’indicazione Lacan la dà ed è nel testo, subito dopo il consiglio: non si deve andare con il nodo da nessun altra parte che non sia l’esperienza analitica («è nell’esperienza analitica che [il nodo] rende conto ed è in quella che ha valore»).
Allora la domanda è questa ed è veramente bête: posto che il luogo di utilizzo del nodo è l’esperienza analitica, quindi indissolubilmente la clinica e la riflessione, come si utilizza da dupes il nodo? Credo che si tratti di ciò che sono l’ultimo qui ad aver cominciato a sperimentare e cioè di quello sforzo di recepire il discorso del soggetto dell’analisi senza farlo fermare nelle stanze della comprensione, del senso, e quindi reagendo (passivamente?) alla richiesta insistente e continuata dell’analizzante di “capire come funzionano le cose”.
Ma si tratta anche di reperire nel soggetto che parla l’annodamento del nodo e quindi – come emergeva da un confronto recente a Milano in preparazione di questa giornata – di “trovare il nodo nel soggetto parlante”? E allora, visto che se il soggetto è lì è presumibile che l’annodamento sia ambiguo, per dirla con le parole di Lacan di inizio lezione, si tratta anche di operare perché l’annodamento si definisca meglio? E qual è la relazione fra questa azione (direzione) e maneggiare il nodo da dupes?

La terza osservazione, su come si presenta il nodo,
ossia sull’ek-sistenza del godimento.
In questo nodo apparentemente domina l’immaginario e ciò ha a che vedere, a livello fondativo, con la consistenza stessa del nodo. C’è dunque una consistenza immaginaria del nodo che va da sé. Ed è qui che Lacan introduce la sua osservazione: rispetto all’immaginario, il godimento ek-siste; e questa messa in posizione del godimento rispetto all’Immaginario è la parodia della messa in posizione del godimento in rapporto al Reale: questo ek-sistere del godimento sta a dire che nel godimento si tratta di qualcosa «che è altro dal senso». Ciò che resta è il significante (Simbolico) che, in quanto tale, in quanto significante puro (cfr. il seminario Les psychoses) è privo di senso (significato) e viene a proporsi «come intervenente in questo godimento».
Lacan si riferisce al cogito di Cartesio: esso non basta ad assicurare l’ek-sistenza (anche Cartesio, dice Lacan, ha fluttuato tra cogito, ergo, sum): perché sia assicurata l’ek-sistenza ci vuole un buco (che il cogito di Cartesio solamente simula). E il buco, i buchi son quelli che abbiamo con i tre anelli che si annodano.
Approfondendo questo punto Lacan riprende e dilata: ciò che ek-siste al Reale è simbolizzato da una scrittura, è metaforizzato dal godimento fallico. Se c’è qualcosa che supporta il nodo è che il godimento fallico è situato nell’incastro che risulta dalla nodalità, che è il proprium del nodo borromeo. Lacan introduce qui la necessità del terzo, il senso, esteriore al più centrale dei punti nella stretta della nodalità, e – dice – è in questo senso, cioè in relazione al nodo che si fa con il Simbolico, che si produce ciò che viene chiamato godimento fallico.
Il nodo è nodo di tre ed è a partire da un raddoppiamento della triplicità, altra triplicità legata al senso, che proviene la possibilità di distinguere i sensi che fondano i tre termini: è dal Simbolico che si parte perché il nodo consista. Ma in quanto distinti, la loro distinzione è dell’ordine dell’ek-sistenza, la loro differenziazione inerisce al godimento come ek-sistente, godimento che «fa il Reale, che lo giustifica proprio di questo, di ek-sistere», laddove l’ek-sistenza «si definisce, si supporta da ciò che, in ciascuno di questi termini, R.S.I., fa buco».
Proprio questa terza osservazione, sull’ek-sistenza del godimento, introduce lo sviluppo della lezione e di tutto il seminario. Lacan ricorda infatti che, ai tempi di Freud, non si nomina che uno dei termini, l’Immaginario: ma Freud stesso, designando nella seconda topica la funzione immaginaria dell’io, «rivela» (dice Lacan) che l’io non è che un buco, «nient’altro che nella rappresentazione fa buco». E qui sembra che Lacan enunci il compito che gli spetta, o il lavoro a cui non intende sottrarsi (a cui non intende sottrarre nemmeno chi lo segue) e cioè: quali sono i buchi che costituiscono, da una parte, Reale e, dall’altra, Simbolico? «È quel che dovremo sicuramente esaminare da molto vicino.»

Intervento al seminario annuale di studio su R.S.I. tenuto il 2 giugno 2012 a Torino

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