27 – 30 agosto 2014, Parigi – studio del seminario XXIII di J. Lacan, Le sinthome (Il sinthomo)

PSERossfelder_figure14Mercoledì 27, giovedì 28, venerdì 29, sabato 30 agosto 2014
dalle h. 9. 30 alle 12.30 e dalle 14. 30 alle 17. 30

a Parigi, Espace Reuilly, 27 rue Hénard, 75012

Responsabili

Marc Darmon, Flavia Goian, Pierre-Christophe Cathelineau, Virginia Hasenbalg Corabianu
Tom Dalzell, Henri Cesbron Lavau

texte en français

 

Prefazione al Sinthomo

Nell’ultima lezione di R.S.I., il 13 maggio 1975, Lacan annuncia il titolo del suo prossimo seminario: 4, 5, 6. Senza dubbio si trattava per lui di continuare l’esplorazione nodale delle nominazioni, poiché ciascuno dei tre anelli del nodo borromeo fa falso-buco con la nominazione corrispondente. Se Lacan si ferma a 6, è perché la via esplorata non va oltre. Egli indica tuttavia che presterà particolare attenzione al nodo a quattro.

Un mese più tardi, durante la sua conferenza, Joyce il Sinthomo, egli annuncia che è Joyce che sarà in programma. L’interesse di Lacan per lo scrittore irlandese è di lunga data – si viene a sapere, in quest’occasione, che all’età di 17 anni, frequentava già la libreria di Adrienne Monnier, che vi incontrò Joyce, e che a vent’anni, assistette alla prima lettura della traduzione dell’Ulisse.

Se, nel seminario su La lettera rubata, Lacan evoca l’omofonia joyciana letter/litter, è in Ancora che il suo interesse per l’opera di Joyce si afferma: “leggete Finnegan’s Wake, è un lungo testo scritto il cui senso proviene da questo, […] che si produce qualcosa che come significato, può apparire enigmatico, ma è proprio ciò che c’è di più vicino a quello che noialtri analisti – grazie al discorso analitico, sappiamo leggere – e che è ciò che c’è di più vicino al lapsus”

“Ciò che c’è di più vicino al lapsus”… Lacan non dice che le parole incastrate di Joyce sono delle formazioni dell’inconscio. Possiamo, allora, evocare la dimensione del motto di spirito, certamente, colto, infinitamente sapiente, che gioca su più lingue, ossia del motto di spirito nel senso di Freud? Per esempio la parola sinse, creata da Joyce, è costruita grazie alla condensazione di più parole: since (da), sense (senso) e sin (peccato). Egli suggerisce un legame fra le tre: la colpa originaria che darebbe senso alla Storia? Forse. Ma la parola since non mantiene tuttavia il suo profumo d’enigma? È confrontabile con il “familionario” di Heine o con le “cartagineserie” flaubertiane?

Con l’invenzione del celebre Dumbillsilly, Joyce arriva a costruire in inglese una parola che si pronuncia e che significa come in francese, più o meno. In ogni modo, restiamo di fronte a un enigma, muti come l’imbecille in questione. Qui siamo più vicini a quanto Freud designa con “motto di spirito attraverso il non senso”.

Nel motto di spirito, un pensiero precosciente è per un tempo trattato dall’inconscio, e il risultato è presto recuperato ed enunciato da un terzo il cui piacere viene a confermare la buona parola. Occorre però che questo terzo sia un po’ coinvolto a livello dell’inconscio. Nella sua conferenza Lacan osserva che, in Joyce, non è così: leggendolo, il nostro inconscio non è affatto “agganciato”. Al contrario, ciò che percepiamo alla lettura, è il godimento dello scrittore.

Se la scrittura di Finnegan’s Wake tratta volentieri i significanti secondo la condensazione, che è uno dei meccanismi del lavoro del sogno, e se l’arte di Joyce produce ciò che c’è di più vicino al lapsus, perché Lacan individua lo scrittore come “disabbonato all’inconscio”?

Nel Sinthomo, Lacan ci propone una risposta: la scrittura di Joyce, la sua opera, sarebbe il suo sintomo, quello che lo nominerebbe, quello che supplirebbe alla carenza paterna – il sintomo che “abolirebbe” il simbolo, Joyce è disabbonato dall’inconscio nella misura in cui egli non paga il prezzo, castrazione e rimozione, prima di goderne moderatamente. Se il sintomo può essere ridotto da un’interpretazione che gioca sull’equivoco, non vale per Joyce. Niente riattacca a lalingua il sintomo joyciano; al contrario, il genio di Joyce opera nel portarlo “alla potenza del linguaggio”. Da qui la necessità di nominarlo diversamente: Sinthomo.

Se il Sinthomo di Joyce mostra, a sua insaputa ma in modo esemplare, la struttura del nodo borromeo, non si confonde tuttavia con la quarta consistenza, quella del Nome-del-Padre. Se fosse stato così, questa consistenza avrebbe fatto falso-buco con il Simbolico, e sarebbe stato più che compatibile con il sintomo nevrotico, riducibile con l’equivoco. Il Sinthomo di Joyce – e Lacan si sforza di scriverne il nodo durante tutto il seminario – è, al contrario, la riparazione di un nodo non borromeo, poiché l’intreccio dell’Inconscio e del Reale disfa il corpo. Questo annodamento singolare del Reale e dell’Inconscio rende conto della prodigiosa facoltà di Joyce a maneggiare la lettera, a prezzo della fuga del senso. L’ego verrebbe allora a riparare il nodo di Joyce al punto stesso in cui sarebbe prodotto l’errore dovuto alla carenza paterna. Lacan suggerisce che, in Joyce, l’ego tiene la sua consistenza della scrittura: Il sintomo cessa, (virgola) di scriversi (per il fatto che il Sinthomo si scrive). Così Joyce supplisce, con la scrittura, il difetto del padre che gli dava “la coda un po’ floscia”.

Stécriture è quello della lalingua? Piuttosto quello dell’elingue.

Il Lacan del Sinthomo è “matematico e poeta”. Questo seminario non ha la pretesa di fare la psicanalisi che Joyce ha sempre rifiutato. Lacan ripugna di trattare così l’opera e la biografia dell’artista. Tenta piuttosto di lasciarsi insegnare da lui, dal suo Sinthomo che dà accesso al nodo e al lavoro della lettera. Si applica così a poursticher Joyce, a cominciare dalla scrittura di Joyce il Sinthomo e continuando a “parlare joyciano”, nel Sinthomo.

 

Flavia Goiana e Marc Darmon

 

Il seminario Il Sinthomo è un momento chiave e pieno di novità dell’insegnamento di Lacan.

Interrogando la singolarità di Joyce e la sua scrittura, Lacan rivede i fondamenti della clinica appoggiandosi sul nodo borromeo. Il pensiero del nodo, il nodo come appoggio, necessita l’appensiero.

Lacan segue Joyce nella sua eresia e iscrive il seminario in rottura in rapporto alla norma – la norma maschile che si fonda sul godimento  fallico e sul Nome-de-padre – sostituendovi, a questa norma una ricerca sui nodi. Questo lavoro su Joyce, “disabbonato all’inconscio” così qualificato da Lacan, potrebbe essere illuminante riguardo i fenomeni contemporanei che rilevano la “nuova economia psichica”.

Questo anno, a guidare i nostri lavori è l’interrogarsi alla lettera del seminario. Le lezioni saranno introdotte ogni volta da uno dei responsabili del seminario d’estate con la preoccupazione di affrontare e interrogare i punti di arresto. I partecipanti annunciati saranno sollecitati in accordo con lo svolgimento cronologico delle lezioni.

 Partecipanti: Alexandre Alaric, Terry Ball, Jean Brini, Pierre-Christophe Cathelineau, Henri Cesbron Lavau, Tom Dalzell, Marc Darmon, Nicolas Dissez, Christian Fierens, Flavia Goïan, Virginia Hasenbalg-Corabianu, Angela Jesuino, Claude Landman, Marie-Christine Laznik, Michela Marino, Alice Massat, Charles Melman, Marc Morali, Cyrille Noirjean, Valentin Nusinovici, Hubert Ricard, Jean-Pierre Rossfelder, Esther Tellermann, Jean-Jacques Tyszler, Bernard Vandermersch, Angela Vorcaro

(traduzione Rossella Armellino)

Iscrizione

Individuale : 250€

Studenti : 125€

Formazione permanente 350€

Domanda d’iscrizione da stampare

 

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